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Universitas

SE SI SPEGNE L’ENERGIA CREATIVA

SERGIO BALBI - 07/07/2012

Il sito web di un bel Residence scelto per una vacanza al mare ricordava che solo l’anno prima era stata inaugurata un’area giochi per bambini, con attività ricreative e interessanti per giocare e, perché no, imparare cose nuove in compagnia; giunti sul luogo, quest’angolo di paradiso era un fazzoletto di terra con qualche altalena e le attività promesse, dopo la prima estate vissuta con entusiasmo, erano progressivamente state ridotte e infine dimenticate. Una bella vacanza comunque, la famiglia serena, un bel sole ed un bel mare, ma ricordo da allora questo piccolo aneddoto come l’emblema delle molte occasioni, progetti e idee, frenate da un’inerzia, da una discontinuità che piano piano smorza l’entusiasmo e la forza iniziale della proposta che si arena nella quieta malinconia delle cose passate.

Mi pare di cogliere nella nostra convivenza fiammate di energia creativa, percezioni di problemi ed esigenze, subito seguite da progetti e rapide soluzioni, ma forse un po’ troppo spesso, spento il clamore e le luci dell’attenzione mediatica non rimane nessuno a guardia e tutela dell’idea iniziale, e si passa ad una nuova soluzione ad un nuovo progetto destinati però al medesimo breve percorso. La voglia di affrontare i problemi della società e la fantasia per risolverli innervano le nostre città, ma è come se mancassero la pazienza e la disciplina per mantenere e consolidare i frutti di una progettualità che quasi sempre prevede tempi lunghi che non si adattano alle esigenze della nostra soddisfazione. Le città degli uomini si trasformano come la loro lingua, in modo impercettibile, di bocca in bocca, giorno per giorno e solo leggendo un libro di cent’anni fa ci rendiamo conto di come si parlava, di quante parole abbiamo dimenticato e quante abbiamo inventato.

Come possiamo allora riuscire a tener fede ai nostri progetti, come possiamo farli sbocciare e fiorire senza farli appassire prima del tempo sotto le nostre stesse mani, colpevoli di incuria o scarsa dedizione? Credo che per cominciare dovremmo chiederci più spesso “come devo fare?”, lasciando per seconda la domanda “che cosa devo fare?”. Una questione di metodo insomma, che ci permetta di trovare le energie e le strutture per continuare a sostenere quello che realizziamo, perché lo riteniamo un punto necessario e non il rammendo estemporaneo ad uno strappo incontrato per caso, oppure, una volta compresa l’inadeguatezza dei nostri mezzi, provare a cercare un altro modo più vicino a quello che possiamo dare e garantire in mezzo agli altri. Se è poi vero che la verità è una, altrimenti sarebbe incompleta e non potremmo più chiamarla così, è altrettanto vero che le strade che a questa portano sono tante quanti gli abitanti della terra. Ognuno ha la sua strada, ma il nostro costituirci in comunità, il nostro fare società è il modo per guardare e conoscere il percorso degli altri, lasciandoci permeare da questi incontri, procedendo secondo un arricchimento che Rimbaud definirebbe “per illuminazioni”, strutturandolo, in un secondo momento, lungo la via del nostro progetto, sempre più stabile, garantito così da una vera maturazione, ad un tempo personale e corale.

Un dinamismo sociale “osmotico”, perché comunque selettivo, sempre vigile, perché spesso inizialmente intuitivo (l’intuizione richiede attenzione per essere colta), ed estetico perché l’emozione per la bellezza, anche di un’idea, spesso è il primo motore delle nostre scelte. Nella fitta tessitura delle idee nostre e altrui possiamo contare per costruire case solide e trasformare le nostre città mentre miglioriamo noi stessi. Spero quindi di aver dato anche elementi per poter cogliere il valore, nella trasmissione culturale, delle citazioni (intuizioni colte al volo dal pensiero altrui), sintesi felici di quello che proviamo a dire, troppo spesso invece, ridotte a sfoggio di erudizione. Quella che chiuderà questo testo è in realtà il frutto di una meditazione sulla creazione poetica (in particolare sull’opera del già citato Rimbaud) da parte dello scrittore Gian Piero Bona, che nel 1973 curò per Einaudi la traduzione e l’edizione delle opere del poeta francese. Nella sua introduzione al volume Bona scrive: ”Esiste un mistero ed ogni creatore segue la via migliore per avvicinarlo, senza per altro raggiungerlo mai. La ricerca non riguarda la “camera buia”, di cui già si conosce l’ubicazione, ma le chiavi per aprirla. Oserei dire che l’umana possibilità sta nella ricerca di una ricerca”.

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