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Attualità

ITO, LA NOSTRA LEGGENDA AI GIOCHI

MASSIMO LODI - 27/07/2012

Lui fu la nostra leggenda. La leggenda di noi ragazzi, tardoadolescenti e/o giovanottardi, degli anni Sessanta. Ragazzi di sport, che ammiravano in Ito il fuoriclasse venuto da qui, dalla terra varesina, e arrivato fin là. Là alle Olimpiadi. Tokio ’64 e Messico ’68. Ito Giani (mito Giani) il velocista, la freccia, il lampo, lo sbuffo. Uno sbuffo ed era già regalmente al traguardo: di un’eleganza quasi distratta, di una potenza quasi inverosimile. Si allenava a Masnago, sulla pista dell’Ossola, e vederlo correre causava appagamento allo spirito, che si godeva la perfezione del gesto atletico e intellettuale insieme: perché si corre con la testa, mica solo con le gambe.

Ito apparteneva alla generazione di Berruti, lo “scherzo della natura” (definizione gianesca) divenuto il dio sportivo di Roma ’60, e gareggiò in azzurro assieme a lui e non in azzurro contro di lui. Ha ricordi meravigliosi, che ogni appuntamento con i Giochi risvegliano. Ecco che cosa gli ha risvegliato Londra 2012.

“Mi ha soprattutto risvegliato la gioia di star dentro un’Olimpiade. Gioia vera, guardate che la retorica, profusa di solito a carriolate in queste circostanze, non c’entra. Quand’esordii – era l’anno del Giappone – conobbi la felicità d’essere giovane, di vivere con i giovani, d’intrattenerci tutt’insieme in una straordinaria festa. E poi, quella vicinanza ai campioni, ai venerabili della pista. Emozione intraducibile, sono sicuro di non rendere l’idea”.

- Come rendesti a Tokio?

“Mi trovai in una batteria super dei cento. C’era, per dire, mister Hayes, l’americano che poi avrebbe stravinto il titolo. E altri d’un soffio meno veloci di lui. Al Messico, quattro anni dopo, mi fregò invece un infortunio. Preparazione a puntino, pronto all’uso. Poi tac, si tira il flessore e ciao. Fuori dalla gara prima d’esservi dentro. Un gran peccato. La squadra della staffetta aveva appena bruciato il record italiano, ne facevo parte con Berruti, Preatoni e Ottolina. Arrivarono in finale ed eguagliarono il record, entrò Sguazzero in vece mia. Chissà come sarebbe andata se avessi partecipato: mi sentivo benissimo, capace d’ogni impresa”.

- C’è una famosa storia che lo conferma. Quella dell’australiano Peter Norman che ti disse…

“Che mi disse, dopo essersi allenato a lungo con me alla vigilia delle gare: sei proprio forte Ito, see you later in the final, ci rivedremo in finale. E invece non ci rivedemmo, che jella”.

- Che qualità bisogna possedere per tagliare il traguardo della partecipazione olimpica?

“Il talento naturale, ed è ovvio. Poi il resto: tenacia, continuità, fiducia in se stessi. Credere nelle capacità dell’uomo che sei tu. Nella forza d’animo che ti muove, ti ispira, direi che ti guida”.

- Prendersi sul serio. Però neanche troppo, magari…

“Senza il magari. Essere leggeri, spensierati, allegri di spirito. Se non ti pervade l’allegrezza della gioventù, non combini nulla di buono. Ecco, stare nella moltitudine degli atleti olimpici, è una garanzia di quest’allegrezza. Te la trovi subito, quando entri nel villaggio, come compagna. Anzi, prima. Quando parti per il villaggio con i colleghi della tua nazionale”.

- Insomma, l’olimpismo, a chiamarlo banalmente così, non è una sciocchezza parolaia…

“È una verità tangibile. E la porti via per sempre. Come un amico. A proposito di amici: quando andai ai Giochi del Messico, tornai tardi in Italia. Traversai l’America in moto con Ottolina e con Edy Ottoz, ostacolista di fama. E persona eccezionale. Questo per esemplificare in tema di sodalità che prosegue, dopo che si è vissuto l’avventura dell’Olimpiade”.

- E oggi? Che avventura vive chi vi partecipa?

“In parte credo l’avventura avuta in sorte da ciascuno dei partecipanti in ogni tempo della partecipazione. In parte diversa. È cambiata l’atletica, è cambiato lo sport, è cambiato il mondo. I valori fondanti di questa manifestazione sportiva sono quelli di sempre, vanno aggiornati sull’orologio dell’attualità”.

- E bisogna crederci?

“Bisogna crederci. Si vive per credere, se no che cosa si vive a fare?”.

Credendoci, Ito vinse l’oro alle Universiadi e diversi titoli italiani. Senza rinunciare a studi, famiglia, e al resto che viene condiviso da quanti non sono toccati dalla fortuna di poter frequentare un’arena storica. Un grand’uomo, insomma, oltre che un grand’atleta. Gli rendiamo onore, lo prendiamo a modello. È rimasto il nostro mito di tardoadolescenti e/o giovanottardi arrivati al traguardo del nonnismo, dopo tanti giri sulla pista della vita.

 Nelle foto: Ito Giani

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