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Attualità

MEDIOCRI E FAMELICI: LA POLITICA CHE NON PIACE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 28/09/2012

Pinzolo (Tn), San Vigilio, Danza macabra (particolare)

Gli scandali che si verificano nella vita pubblica del nostro Paese suscitano una comprensibile indignazione e sollevano inquietanti interrogativi.

La corruzione non alligna soltanto a livello nazionale, dove si concentrano le decisioni politiche, ma è deflagrata anche nelle istituzioni locali dove si pensava che l’attività degli amministratori fosse meglio sorvegliata da parte dei cittadini.

Invece si deve constatare che l’assalto ai fondi pubblici è dilagato anche nei pletorici consigli regionali, provinciali e comunali da parte di una famelica schiera di eletti che al concetto di partecipazione democratica ha sostituito quello della spartizione delle risorse pubbliche.

Gli enti locali, specialmente quelli regionali (come dimostrano i casi recenti del Lazio, della Lombardia e della Sicilia, il caso Lusi e quello Penati, le inchieste aperte in Sardegna e in Campania) non hanno realizzato una più efficace e trasparente “governance” ma, in quanto centri di potere, sono diventati il mezzo per una spesa pubblica facile, improduttiva e, troppo spesso, inficiata da episodi criminogeni. L’organizzazione locale non è più una alternativa virtuosa a quella statale, che aveva fatto sognare molti nella idea salvifica dell’idea federalista; è tramontata l’idea che il federalismo, senza procedure chiare e controlli rigorosi, possa funzionare bene perché è più vicino ai cittadini.

Il sistema locale è diventato spesso un aggravio per il bilancio della nazione e contribuisce a diffondere sul territorio la prassi del “centralismo e del clientelismo romani”; non brilla neppure per efficienza e presenta, al nord come al sud, comuni e regioni al limite del fallimento.

Invece di rendere più trasparente ed efficiente la spesa pubblica, la moltiplicazione dei centri di spesa ha provocato la diffusione di sprechi, ruberie e corruzione.

Come è potuto accadere che un intero ceto politico, dalla Alpi alla Sicilia, abbia potuto essere così largamente inquinato da episodi di malaffare che si ripetono con costante regolarità?

Certo non occorre generalizzare, “fare di ogni erba un fascio”, anche in politica sono impegnate persone oneste che hanno conservato il senso del bene comune e del pubblico servizio, ma la qualità della nostra classe dirigente è indubbiamente peggiorata negli ultimi vent’anni.

Ci si chiede: da dove proviene questo mediocre ceto politico? Con quale metodo è stato formato? Con quali criteri è stato selezionato? Perché non c’è stata un’azione preventiva e di controllo che ponesse un limite allo sfascio, civile e morale, che viene offerto dai nostri rappresentanti?

La domanda chiama in causa direttamente i partiti, che sono i piloni portanti della nostra democrazia, ma che hanno subito una radicale trasformazione in senso personalistico. La personalizzazione della politica ha cancellato il criterio del merito per sostituirlo con quella della fedeltà al capo. L’adesione ad un partito non è più una missione, un servizio, una scelta di vita ma una professione che assicura un tenore di vita e dei privilegi negati alla gente comune.

La motivazione ideale o ideologica è stata rimpiazzata dal tornaconto e il sistema della cooptazione ha menomato la necessaria indipendenza di giudizio: chi dissente viene emarginato.

Anche le preferenze sono largamente condizionate dalla disponibilità di risorse necessarie per pagare i manifesti, le interviste televisive, lo staff organizzativo, i pranzi e le feste, gli spazi pubblici per le adunate, cioè gli ingredienti necessari per acquisire notorietà e consenso.

In questo modo la democrazia viene falsata in un modello verticistico che si è propagato anche nelle più piccole realtà periferiche e che comporta una scambio sistemico di favori.

I “media” non costituiscono più il “cane da guardia del potere” ma servono a creare conformismo nei cittadini.

Il comportamento della classe dirigente è divenuto talmente insopportabile da rendere verosimile il collasso del nostro sistema democratico. L’illusione che i giovani possano risolvere i problemi della correttezza pubblica è stata smentita dai fatti; molti di essi hanno subito preso il vizio di mirare agli interessi personali; essere giovani non significa essere onesti.

La necessità urgente di un radicale rinnovamento dei partiti deve incominciare dai criteri di formazione e di selezione della classe politica e dei candidati nelle istituzioni; ma tale compito comporta necessariamente il rinnovamento del vecchio e logoro ceto dirigente che è stato incapace di riformarsi, ma è quasi impossibile senza un rinnovamento della coscienza critica dei cittadini.

La politica è divenuta una “questione morale” che chiama alla responsabilità anche il mondo cattolico, per testimoniare che non è il denaro il valore supremo e il collante della nostra società.

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