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Universitas

QUESTIONI DI RISPETTO

SERGIO BALBI - 30/11/2012

Varese, via Ravasi. Aula magna dell’Università dell’Insubria; la candidata, laureanda in Medicina e Chirurgia, sta esponendo i risultati della sua tesi. Alcuni membri della commissione parlano tra loro, forse poco concentrati su quanto la giovane sta discutendo. Questa conclude la sua esposizione, risponde alle domande di rito e riceve le congratulazioni da parte della commissione prima di andare a ingrossare il gruppo di candidati, parenti e amici che, terminato il loro compito ridono e scherzano soddisfatti appena fuori le porte dell’Aula, ben chiuse ovviamente, ma non abbastanza da lasciar fuori l’entusiasmo traboccante, che invece filtra e si fa strada con clamore tra chi ancora deve vivere il suo momento, forse il più importante della vita universitaria. Al termine della sessione, proclamati i nuovi “Dottori in Medicina e Chirurgia”, percepisco la lamentela di una astante che rileva in tutto quello che è successo una certa mancanza di rispetto, da parte di tutti.

L’accento caricaturale della mia descrizione è posto su un dettaglio dell’intero pomeriggio, non lo rappresenta per fortuna nel suo intero, ma mi serviva cogliere l’appunto di quella spettatrice per riflettere un momento sul concetto di rispetto. Rispetto, è vero, se ne parla tanto, ma cos’è in fondo, e su che cosa dovremmo basare il rispetto reciproco, soprattutto quando non conosciamo chi ci sta di fronte? Tentiamo una risposta con il solito piccolo esercizio di etimologia: avremmo ascoltato in silenzio e con interesse se avessimo provato un po’ di sincera simpatia verso la candidata? Può darsi ma la simpatia descrive un’affinità, un accordo naturale che porta ad un’attrazione e inclinazione istintive verso persone o cose. L’affinità naturale però è di per sé selettiva e non indirizzabile in modo indiscriminato verso tutti.

Non basta quindi… Potrebbe aiutarci un fenomeno di empatia? Certamente un piano più profondo, coinvolgente, un fenomeno per cui si crea con un altro individuo una sorta di comunione affettiva in seguito ad un processo di identificazione. Ma, a parte il carattere di selettività che lo accomuna ai sentimenti di simpatia, manca della possibilità di portare qualche cosa di proprio, individuale, in ossequio al ruolo differente che ognuno assume in una situazione, dai membri della commissione ai parenti ed amici che assistono alla discussione delle tesi, per rimanere nell’esempio da cui siamo partiti. E poi l’empatia vera, profonda, non è esercizio per tutti.

Non basta neanche questa allora, ma forse si delinea da qui una ulteriore possibilità per percorrere la strada verso un’idea efficace di rispetto: intendo infatti esaminare ed utilizzare il concetto di partecipazione. Partecipare è prendere parte a qualche cosa, esserci insomma, essere lì con tutta la nostra persona, senza mediazioni selettive. Partecipare è portare qualche cosa ad una situazione che sia proprio nostro e arricchisca il tempo di tutti, indipendentemente da chi in quel frangente sta assumendo il ruolo di protagonista; il partecipare restituisce comunque, con un fenomeno ad esso intrinseco, senso e valore alla propria presenza, è tempo reale, sincero, vissuto ed esplorato, concentrato su quanto accade. Credo che questo basti per cominciare a costruire il rispetto.

 Ma l’etimologia propria di rispetto allora? Re specto è guardare indietro quasi a cercare elementi biografici dell’altro che ne costruiscano ai nostri occhi la stima, la considerazione. E il rispetto verso lo sconosciuto? È poca cosa la sua azione presente, quello che fa davanti a noi non ha abbastanza storia per sedimentare e acquistare valore biografico, non è abbastanza per delinearlo; possiamo però guardare indietro scorgendo un’unica comune radice che ci vuole simili e profondi, vivi, ricchi di esperienze e racconti, degni di ascolto, come sappiamo di essere noi stessi e vorremmo essere agli occhi degli altri.

Questo basterebbe a creare il rispetto, sarebbe un processo di identificazione, certo, ma talmente condivisibile da risultare universale e sufficiente, se solo riuscissimo a farlo un po’ più spesso.

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