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Attualità

UNA VOCE PROFETICA, GIUSEPPE DOSSETTI

LIVIO GHIRINGHELLI - 01/03/2013

Distratti da altre cure (elezioni, dimissioni del Papa, la solita catena degli scandali), non si è trovato modo di commemorare degnamente, pur nel contesto di varie interpretazioni, la figura di Giuseppe Dossetti nel centenario della nascita (13 febbraio 1913). Docente di diritto alla Cattolica, uomo della Resistenza, pur nel rifiuto delle armi, membro dell’Assemblea costituente e deputato DC, ne fu vicesegretario dal 1945 sino al 1951, in contrapposizione dialettica con De Gasperi. Nominato nella Commissione dei settantacinque, incaricata di elaborare il testo della Costituzione, svolge un lavoro intenso nella prima sottocommissione, che si occupa dei diritti e dei doveri dei cittadini. Oppositore del liberalismo classico, non concepisce la Costituzione solo come un insieme di regole e di regolamenti, di natura formalistica, bensì come un documento programmatico denso di valori etici e morali, teso a favorire una ripresa degli spiriti dopo la caduta del regime fascista, grande patto per l’avvenire sul fondamento di una riforma della Chiesa ormai necessaria. E sostiene il principio della repubblica presidenziale.

Di fronte alla politica di basso profilo di governo, rimproverata anche ingiustamente a De Gasperi, Dossetti rappresenta del partito l’anima ideale. Non considera però la politica in una logica di “cristianizzazione della società o di ideologia cattolica”. Si batte per l’autonomia dei cattolici in politica in dissidio con la Curia (Tardini è convinto della necessità di un partito unico dei cattolici, il cardinale Pizzardo è addirittura filofranchista), si schiera per la liceità di un partito di democratici, in cui militino anche i cattolici lungi da ogni confessionalità delle istituzioni.

La sua visione della società è di carattere pluralistico, afferma i diritti originari della persona, vuole un’uguaglianza sostanziale, non formale. Si rivela un interlocutore privilegiato col Vaticano per la stesura dell’articolo 7. Privilegia la prospettiva europea su quella atlantica, occidentale, la dimensione politica su quella militare. Sul piano sociale ed economico sente l’urgenza propriamente evangelica e radicale di un’equità fiscale, di un’equità distributiva della ricchezza in soccorso a una classe operaia (e contadina) ampiamente sfruttata, venendo incontro alle attese della povera gente.

In un quaderno di “Cronache Sociali”, rimasto inedito per non aggravare il dissenso con la gerarchia ecclesiastica, c’è la sua idea di una ricomposizione dello strappo, ch’era avvenuto sulla scelta di campo Occidente-Oriente dividendo i partiti di popolo.

Nel 1946 fonda l’Associazione Civitas Humana con Fanfani, La Pira, Lazzati. Contrasta il conservatorismo antidemocratico di Luigi Gedda, che immiserisce la fede a semplice mobilitazione. Nel Congresso della DC di Venezia (2-6 giugno 1949) la sua linea, espressa dalla rivista “Cronache Sociali”, conquista oltre un terzo dei voti, ma si vede criticata da De Gasperi in base al seguente monito: quelli che stanno pungolando, si mettano anch’essi alla stanga e dimostrino di saper tirare. Dossetti capisce che la sua stagione si sta concludendo, nonostante l’impegno profuso nella prospettiva delle grandi riforme (riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno, riforma tributaria Vanoni).

Si ritira dalla scena politica, per farvi una breve riapparizione nel 1956, contendendo al comunista Dozza la carica di sindaco di Bologna, senza successo. Dopo che il cardinale Lercaro ha approvato la regola della comunità monastica della Piccola Famiglia dell’Annunziata a Monteveglio, ispirata ai principi di silenzio, preghiera, lavoro e povertà, nell’Epifania del 1959 Dossetti viene ordinato sacerdote.

Durante il Concilio, collaboratore del suo cardinale a titolo di perito personale, formula proposte per lo svolgimento dei lavori in chiave giuridica e scrivendone il Regolamento impedisce l’approvazione dei testi già approvati dalla Curia in chiave di continuità, anziché di innovazione.

Nodi tematici da lui privilegiati il battesimo, come fonte di appartenenza alla Chiesa, la collegialità episcopale, il recupero dell’essenzialità del messaggio evangelico in termini di povertà, la riforma liturgica. Per lui il Concilio finisce troppo presto, si accorge che con Paolo VI il processo di svecchiamento accusa battute di arresto, onde l’urgenza di confinarsi radicalmente nella vita monastica e il rifugio nel deserto di Israele, oltre che a Monteveglio. Ore, ore e ore interminabili di preghiera al Santo Sepolcro; a Gerico vive in baracche precarie, intensifica la sua sobrietà accanto agli arabi poveri.

Enzo Bianchi, priore di Bose, ne ricorda la profonda competenza, anche linguistica, nella lettura dei testi delle Sacre Scritture, la figura di un cristiano “morsicato” dal radicalismo evangelico, la conoscenza dei Padri, la frequentazione dell’esegesi storico-critica e l’attenzione prestata da Carlo Maria Martini, allora all’Istituto biblico di Gerusalemme, in occasione delle omelie del nostro. Comunque sempre obbedientissimo verso la Chiesa, Dossetti rifugge dalle contestazioni. Martini, riconsiderandone l’opera, così si esprime nei suoi confronti: ha saputo scuotere, inquietare, aprire orizzonti, promuovere e sostenere slanci da autentico profeta.

Il 18 maggio 1984, commemorando Lazzati, Dossetti pronuncia a Milano il suo discorso più famoso: “Sentinella, quanto resta della notte? (Is. 21,1). Riflessione cristiana sull’Italia d’oggi”. Nei momenti bui non ci si deve ripiegare nostalgicamente sul passato, bensì mantenere lucidi per riconoscere i segni dell’aurora. Linguaggio di estrema attualità. Sempre del 1994 la sua difesa strenua della Costituzione, il lunedì di Pasqua nella comunità di Montesole Dossetti mette in guardia dai pericoli delle nuove illusioni storiche create da una classe politica improvvisata e rampante.

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