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Politica

COSTITUZIONI A CONFRONTO: UN VERDETTO

ROBERTO GERVASINI - 08/03/2013

“Dobbiamo far risorgere l’ormai caduto senso morale; dobbiamo far rivivere il senso del dovere nel cuore di questi uomini ora ridotti a macchine calcolatrici; dobbiamo ricreare per l’uomo un’esistenza morale per mezzo dell’entusiasmo e dell’amore”, così scriveva Giuseppe Mazzini nei Pensieri sulla democrazia in Europa.

Quanti decenni sono trascorsi invano? Che cosa ha trasmesso e ci trasmette ancora il Risorgimento con tutte le sue componenti, monarchiche, repubblicane, unitarie, federaliste, neoguelfe, proto-socialiste?

Il nazionalismo costruito sul concetto di sangue e territorio, con un nemico da sconfiggere, nato in Italia con l’epopea napoleonica e motore per molti patrioti non può essere oggi un nostro valore. Non siamo razza, siamo semmai tra i più bastardi, ma la diversità può esser ricchezza. Non siamo fratelli di sangue di Scipione l’africano, di Alberto da Giussano, di Francesco Ferrucci, del Balilla. È bene parlare allora di patriottismo, mettendo l’accento sui valori di libertà, di senso di appartenenza, di patto sociale, di solidarietà, di diritti e di doveri. Valori questi ben enunciati nella nostra Costituzione e certamente vivi nel cuore e nella mente di tanti protagonisti del nostro Risorgimento.

Si sente ripetere che la nostra Costituzione è la più bella del mondo. Certamente è stata presa ad esempio ma dobbiamo prendere atto di quanto più avanzata fosse nel 1849 la Costituzione della Repubblica romana di Mazzini, Saffi e Armellini: repubblica cara ai varesini di ieri e di oggi, memori dei propri eroi: Francesco Daverio, Enrico Dandolo, Emilio Morosini.

La Repubblica Romana del 1849 rimane il punto più alto del Risorgimento democratico e repubblicano. Nel breve periodo di tre mesi, da febbraio ad aprile, alle parole scritte nella Costituzione fecero seguito i fatti dettati dalle leggi. Fu concessa la libertà di culto per tutte le confessioni con la conseguente apertura del ghetto. Fu abolita la censura, fu abolita la pena di morte, allora applicata ovunque nel mondo salvo che nel Granducato di Toscana. Fu istituito il matrimonio civile. Le figlie femmine furono ammesse ai procedimenti successori. Fu concessa una ben più ampia partecipazione al voto. Fu abolita l’infame tassa sul macinato e sul monopolio del sale. Fu resa obbligatoria l’istruzione nella scuola pubblica così come venne istituito il Ministero della pubblica istruzione. Si diede il via a una sostanziale riforma agraria. La Costituzione della Repubblica italiana del 1946 ricalca fedelmente nei principi fondamentali quella romana del 1849, dopo cento anni.

La più bella del mondo, come costituzione, rimane quella del 1849. L’art. 1 dice che: “ …la sovranità appartiene al popolo…” e nel 1849: “ la sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica”. Qui c’è tutto Mazzini.

I valori di libertà, fraternità ed eguaglianza sono ribaditi nello stesso art. 2 di entrambe le Costituzioni, con richiamo ai diritti inviolabili dell’uomo e ai doveri inderogabili di solidarietà politica, sociale ed economica, ma quella del 1849 aggiunge: “ …non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita e di casta”.

Come non pensare a Carlo Cattaneo o ai neoguelfi fino al 48, allo stesso Giuseppe Ferrari eletto più volte in Parlamento nel territorio varesino, leggendo l’art. 5 della nostra Costituzione? “ La Repubblica, unica ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo….” . Valori già sanciti al punto V e VI dei Principi Fondamentali della Costituzione del 1849.

Come non pensare al Cavour agli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione: “ Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” e “ Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”. Il punto VII della Costituzione del 49 recita: “Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici” e le conseguenze furono non poche.

L’art. 52 della nostra Costituzione recita: “ La difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e qui troviamo anche Giuseppe Garibaldi e il suo esercito popolare. Garibaldi che risultò quanto mai attuale anche ai milanesi del 1944 durante l’occupazione tedesca. In largo Cairoli appesero un cartello al monumento di Garibaldi a cavallo: “ Pepìn, vegn giò de lì ch’in anmò chi!” (Peppino, vieni giù di lì che sono ancora qui!), ricordando l’occupazione austro ungarica e la necessità di un nuovo Risorgimento, la Resistenza.

Oggi non pochi parlano di revisione della nostra Costituzione ma la difesa della stessa è la difesa di quei valori che il Risorgimento democratico e repubblicano avevano bene formalizzato nella stesura della Costituzione della Repubblica romana del 1849.

Che cosa si vorrebbe cambiare? Certamente di questi tempi potrebbe risultare sarcastico anche solo affermare che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art.1), ma intanto si dice così: che non è fondata sul sistema bancario, sulla speculazione, sullo sfruttamento, sui furti, sulla corruzione. Così come all’art.11 si dice che l’Italia ripudia la guerra ed infatti le guerre debbono esser chiamate “missioni di pace”. Certo, la Costituzione della Repubblica italiana può diventare o rimanere il libro dei sogni, ma senza sogni non si vive.

W l’Italia.

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