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Storia

QUANDO LE CAMPANE INTERRUPPERO PERTINI

LILIANO FRATTINI - 26/04/2013

Il lettore mi scuserà se farò riferimento a vicende personali legate alla elezione a presidente della Repubblica l’8 luglio 1978 di Sandro Pertini. Ho un ricordo sempre vivo di una delle figure più fulgide della storia del nostro Paese sorto dalla Resistenza al nazifascismo, che ha lasciato una impronta indelebile in tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia e della libertà.

Nel 1958 era in programma a Napoli il Congresso del PSI che avrebbe sancito il proposito di allearsi con la Democrazia Cristiana per dar vita a una formazione governativa di centro-sinistra. Immaginatevi gli stati d’animo dei contraenti, i democristiani e i socialisti, quest’ultimi reduci da un patto d’azione con i comunisti, servi di Mosca, atei, senza Dio, flagello rosso! In casa PSI si respirava aria antidemocristiana, anticlericale, anticapitalistica, libertaria. I vecchi militanti si sarebbero “mangiato” un prete al giorno. Io facevo parte del direttivo e dell’esecutivo della Federazione Socialista che aveva la sede in via Piave 3, a Varese. Ero stato nominato responsabile della stampa e propaganda, avevo ventitre anni, credente, cristiano.

Ho avuto modo di conoscere persone indimenticabili, oneste, leali, fieri della loro militanza, disinteressati, allergici alle poltrone. I giovani erano pochi e l’ossatura era costituita da una militanza che andava dai quaranta ai settantacinque anni, prevalentemente di estrazione operaia, gruppetti di impiegati, manciate di professionisti (avvocati, medici, insegnanti).

Nella fase precongressuale si svolgevano centinaia di assemblee nelle sezioni del Partito (una in ogni paese della provincia di Varese) che dovevano esprimere le loro preferenze su quattro documenti: quello degli autonomisti vicini a Nenni decisi a rompere con i comunisti, quello che faceva capo a Lelio Basso (tesi ideologizzate), quello riferito alla sinistra del PSI (“i carristi”) di Tullio Vecchietti e Dario Valori, filocomunisti, e infine “Lettera di Pertini” che per la cronaca riscosse un misero 1%.

Pertini non era molto amato nel Partito per il suo brusco carattere, per le sue sfuriate, per il suo antagonismo verso il segretario del Partito, Pietro Nenni, che per inciso durante un trasferimento a Sondrio mi raccontò i suoi rapporti con Mussolini quando quest’ultimo era socialista, direttore dell’Avanti!. Ma nonostante l’avversione della gran parte dell’esecutivo, il segretario provinciale Giancarlo D’Agostino e chi scrive decidemmo di invitare a Varese per un comizio Sandro Pertini che conoscemmo alla stazione delle Ferrovie dello Stato dopo che, solo, scese dal treno, burbero ma poi disponibile a una lunga chiacchierata.

Ricordo che era una bella giornata e Piazza Monte Grappa si riempì di compagni e di curiosi: sul palco posto a fianco della fontana con di fronte il campanile del Bernascone, notai l’assenza polemica di molti notabili del Partito; ma preso dalla voglia di stare vicino a un personaggio storico dedicai tutta la mia attenzione a quello che avrebbe detto “Sandro”. Infatti non fui deluso per la svolta impressa al comizio dall’oratore, un brillante oratore, che condivise il disegno della maggioranza del PSI di allearsi con la DC, con i cattolici, con i lavoratori cattolici, lui ateo, con… A questo punto fu interrotto dallo scampanio che veniva alle 18 dal beneamato campanile tale da disturbare e disorientare l’illustre oratore.

Mio compito fu quello di strappare l’asta che reggeva il microfono dalle mani di Pertini per evitare che le sue bestemmie compromettessero il dialogo fra socialisti e cattolici che tanto entusiasticamente aveva caldeggiato nel quieto periodo durante il quale non suonavano le campane! Accompagnammo sconsolati, Giancarlo e io, Pertini alla stazione scusandoci per quanto era successo e augurandoci di rivederci presto dopo che avevamo espresso tutta la nostra ammirazione, stima e affetto. In seguito entrambi avviammo una fitta corrispondenza che durò fino a pochi mesi dalla sua elezione a Presidente della Camera nel 1968, dieci anni di arricchenti considerazioni !

Saltiamo avanti di altri dieci anni quando Pertini fu eletto Presidente della Repubblica. Lavoravo al TG1, bazzicavo la Camera dei Deputati per servizio e anche per capire come andava a finire la sua elezione a cui tenevo grandemente. Trepidavo per lui perché mi raccontava preoccupato che “Bettino” (Craxi) non lo voleva mentre Berlinguer lo sosteneva. Stavamo seduti ore su un divano rosso di velluto ad aspettare che uno dei due leader lo chiamasse e lo rassicurasse. “Sandro, andrà tutto bene, vedrai: Bettino ti dirà di sì. Sei un compagno di prestigio, un galantuomo, hai alle spalle una storia meravigliosa”… e io giù con le mie litanie che lui non ascoltava!

Sapete come è andata. Avuta assicurazione della designazione mi feci promettere che il giorno dopo, prima della salita al Quirinale, sarei andato a casa sua, che frequentavo, affacciata sulla Fontana di Trevi, per una intervista al TG1: “Ti chiamerò alle 6” dissi a Pertini e approfittai perché salutasse Carla, la moglie, una donna eccezionale.

La mattina all’ora convenuta cominciai a fare il numero di casa Pertini ma lui mi rispondeva sempre che era teso, nervoso e non dovevo più telefonare. Sono permaloso e la presi male. Non ci sentimmo per un lungo periodo poi ci fu un incontro dei giornalisti al Quirinale; ne approfittai per andarci anch’io ma mi mescolai fra i colleghi in modo che non mi vedesse: ma lui mi vide e sbottò: “C’è un giornalista che non vuole salutare il suo Presidente. E mi chiamò per nome: Io balbettai: “Onorato Presidente”. E riprendemmo fraterni rapporti.

L’ultima occasione di sentirlo fu al termine di un telegiornale: scesi dallo studio 12 dove si trasmetteva il TG e fui richiamato dallo squillo di un telefono. Dissi “Pronto, chi è?”. Rispose una voce “Sono il Presidente della Repubblica”. Replicai: “E io sono la Madonna di Lourdes” – “Sono Sandro Pertini, non riconosci neanche la mia voce…! Oggi avevi una cravatta che non aveva niente a che fare con la giacca: sveglia ragazzo!”.

Ai funerali piansi perché era morto un uomo meraviglioso, figlio del rigore, dell’onestà e del dovere.

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