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Opinioni

FORSE È UNA BOTTA SALUTARE

LUISA OPRANDI - 26/04/2013

Sono una donna varesina, che il 27 ottobre 2007 al polo fieristico milanese ha partecipato alla Assemblea Costituente del Partito Democratico, erede politico dell’ Ulivo, che fin da dodici anni prima aveva unificato l’esperienza del centrosinistra. Tra gli applausi allora eleggemmo primo Presidente del partito Romano Prodi e segretario nazionale Walter Veltroni. Ricordo quei momenti intensi, carichi di passione per la prospettiva di una bella politica che offriva concretezza alle speranze e all’impegno di molti nel costruire un percorso nuovo: Figlia di tempi altrettanti nuovi, essa teneva assieme il passato, al quale rinsaldare la memoria e la gratitudine, con il riformismo nazionale ed europeo, parlava un linguaggio semplice, diretto e costruttivo, invogliava a sognare possibilità di governo della cosa pubblica al passo con le esigenze del mondo globale e i bisogni della contemporaneità. La novità delle primarie, con oltre tre milioni e mezzo di votanti, ne rafforzava intanto l’espressa vocazione all’ apertura e al coinvolgimento.

Sono una donna varesina che, senza vergogna, ha pianto pochi giorni fa quando i fatti hanno raccontato una realtà ben più angusta, riassunta nei termini indecorosi della evidente incapacità politica di un centinaio di parlamentari PD che scientemente hanno fortemente indebolito, a suon di colpi silenti e coperti dal segreto dell’urna, la storia dei democratici. Tutto ciò mentre all’esterno delle sedi istituzionali, una calca di folla urlava la propria distanza da quanto avveniva dentro i palazzi della politica e nuove espressioni di rappresentanza parlamentare esaltavano, enfatizzandola, la propria assoluta diversità dalle forme ordinate dei partiti tradizionali e delle liste civiche.

Sono fermamente convinta del ruolo positivo e insostituibile dei partiti, che ai vari livelli, dal locale al sopranazionale, coagulano in forme organizzate il bisogno di appartenenza ideale alla storia comune e altrettanto sostengo la necessità che il mondo della politica stia con i piedi ben ancorati a terra, gli occhi spalancati su quanto accade dentro la realtà sociale, economica, ambientale e culturale, il cuore e i desideri proiettati in avanti. Né mi stanco di chiedere, partecipandovi direttamente, a questa stessa politica di abbandonare le logiche personalistiche o di carriera, la salvaguardia ad ogni costo di irrisori steccati di appartenenza, l’improvvisazione legata alle opportunità del momento, la miopia progettuale sulle prospettive di interesse collettivo, la valorizzazione delle tante persone che costruiscono col proprio contributo, anche il più semplice, il volto poliedrico della presenza attiva.

La vicenda del PD, pur passando in questi anni per la debolezza interna e di coalizione che determinò la fine del Governo Prodi nel 2008, della sconfitta elettorale alle europee dell’anno successivo, della progressiva fuoriuscita di esponenti confluiti in altre forze politiche, ha portato nell’ultimo biennio a consolidare la presenza di governo dei democratici in buona parte del Paese e anche nel nostro territorio. Ultimo in ordine di tempo il risultato positivo in Friuli di questa settimana, che pur sul filo del rasoio, ha bloccato l’avanzata leghista nelle regioni del Nord e ridimensionato in modo significativo il bottino elettorale del Movimento 5 stelle di soli due mesi fa. E se da un lato tutto ciò rappresenta un indiscutibile punto di forza da non disperdere e sul quale non passare con la spugna di correntismi o personalismi di sorta, dall’altro è innegabile che la débacle degli ultimi giorni richiede onestà intellettuale e coraggio di lettura sia dei dati oggettivamente e più facilmente interpretabili, sia di quelli sottesi alla “vittoria mutilata” delle scorse elezioni, alla ribellione giovanile nelle sedi di partito occupate, alla delusione di molti elettori e militanti, all’ennesimo affossamento, qualunque sia la modalità che lo determina o subdolamente lo spera, di leader che hanno, nel tempo e in forme diverse tra loro, avuto capacità di raccogliere consenso di elettori e di popolo: si chiamino essi Veltroni, Prodi, Bersani, Renzi.

Lo scossone di questa settimana oserei dire sia quasi salutare e opportunità di cambiamento, anzitutto perché porta allo scoperto urgenze non più rimandabili, che il monito tenace del rieletto presidente Napolitano, facendosi portavoce delle insistenti domande di un’intera popolazione, ha rimesso, senza sconti per nessuno, sul piatto della responsabilità politica. Dal lavoro, alle nuove povertà, alla riduzione dei costi della politica, alla legge elettorale, alla lotta alla corruzione. Urgenze sulle quali, anche in casa PD, una sovrastima del risultato elettorale aveva messo un freno, rimandandole se non certo nelle intenzioni, quantomeno nei tempi:

Così come il dibattito nel partito, prossimo ai congressi nazionale e territoriali, ha finito con l’enfatizzare le dinamiche interne sovrapponendole alle esigenze di dare risposte concrete e percorribili ai bisogni della popolazione: Un partito a vocazione maggioritaria che aspira a farsi interprete delle spinte riformiste di oggi è per propria natura plurale e chiamato a vivere le diversità al proprio interno come una ricchezza e non certo una patologia da sedare. Esse rispondono alle espressioni della società complessa in cui viviamo e alle sfide che ogni contesto di patto intergenerazionale, ideale, politico richiede. La distinzione tra bersaniani, renziani, giovani turchi e quant’altro non è il male del PD, bensì uno dei suoi valori, connaturato al pluralismo che lo caratterizza, alla dialettica fisiologica in ogni partito e, se vogliamo, persino alla semplificazione richiesta dal sistema di informazione: Purché nella governance politica ogni differenziazione non divenga centrale o vincolante più delle risorse progettuali e umane.

Una crisi quella del PD che impone perciò di ripensare anche il modo di rapportarsi al bisogno emergente di partecipazione che, comunque la si pensi, è una richiesta dell’oggi, da ascoltare, interpretare, comprendere e alla quale offrire occasioni per “esserci” e non rispondere magari con forme di chiusura o limitazione. Non è sufficientemente lontano quel 27 ottobre di sei anni fa per non riprendere da lì le fila del sogno democratico dei più di tre milioni di cittadini di allora.

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