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Spettacoli

GUCCINI, UNA VITA ITALIANA

MANIGLIO BOTTI - 26/04/2013

“Ma che mi combinate voi di Varese? Oggi arrivo in autostrada e vedo un grosso cartello di uscita: ‘G… azz…ada’; faccio venti o trenta metri e ce n’è un altro: ‘Azz… ate…”. Francesco Guccini, nell’apertura di uno dei suoi non rari concerti al Palasport – siamo alla fine degli anni Ottanta – così scherzava con la platea, prima di attaccare con la tradizionale canzone di apertura, “Canzone per un’amica”: “Lunga e diritta correva la strada / l’auto veloce correva…”. Alto barbuto e capellone – si sarebbe detto una volta –, la camicia a quadri tenuta fuori dai jeans (un espediente cui si ricorre specie dopo i quaranta per mascherare l’epa), la parlata profonda nella cadenza modenese a mangiarsi tutte le erre, e accanto a sé il fiasco di vino.

Non era solo un vezzo questo di Guccini, un modo per ingraziarsi gli astanti scherzando un po’. Ma proprio una curiosità di letterato per gli etimi. Se avesse approfondito la nostra storia ne avrebbe scoperti altri di interessanti: il C… azz… ago Brabbia, proprio a una manciata di chilometri da Gazzada e da Azzate, e magari anche l’origine del nome del comune di Cantello, vicino alla Svizzera, che fino agli inizi del Novecento si chiamava C… azzone, cioè fino a che – si racconta – soprattutto per le rimostranze di alcuni finanzieri meridionali, stanchi di vergognarsi di consegnare quell’indirizzo alle fidanzate e ai parenti, il nome fu cambiato. E magari, il nostro bravo Guccini, con uno studio appropriato, avrebbe scoperto che quei nomi di luogo (Cazzago, Azzate, Cazzone-Cantello) derivano probabilmente da nomi di persona – Attius, Cattius, Cacatius – cui vennero aggiunti i rispettivi suffissi prediali. Tranne forse per Gazzada che – citiamo dal Dizionario dei nomi geografici italiani della Utet, curato da una schiera di illustri linguisti – riflette la voce medievale ‘ingadiata’, ovvero ‘vietata al pascolo’, come il nome veronese ‘Ingazzà’.

Insomma, Francesco Guccini, come ha poi dimostrato nell’arco di una gloriosa carriera di cantautore o di bardo della canzone (tra un paio di mesi compirà settantatre anni), grazie ai suoi studi e alle sue passioni ha saputo associare la nostra storia antica con la poesia, forse talvolta minimale ma sempre intensa e degna di racconto. E le sue canzoni, in qualche modo, hanno affondato le radici nella vita italiana: dal piccolo paese di Pàvana sull’Appennino tosco-emiliano, luogo di origine della sua famiglia, alle strade e alle osterie di Bologna e di Modena, nelle lunghe e fumose e un po’ canagliesche notti degli anni Sessanta e Settanta. Con Guccini c’è anche una certa qual sintonia da parte di chi scrive, e che ne fa un modello per esperienze comuni di vita vissuta, almeno a leggere le biografie, come il servizio militare trascorso nel dovere costituzionale, certo, ma anche come motivo per la conoscenza di nuovi luoghi e soprattutto di nuove persone; come le affinità per il poeta crepuscolare Guido Gozzano e le sue “vie del rifugio” e come l’altra esperienza comune di giovanissimo cronista di provincia – lui lavorò alla “Gazzetta di Modena” – dove era pagato a riga e dove doveva trottare instancabile da un marciapiede all’altro in cerca di notizie e… ‘notiziette’; e anche l’amore per le cose e per le storie e per le piccole cose degli anni Cinquanta. Ma a Francesco Guccini sono legati i ricordi della nascente epoca beat, i prodromi di una contestazione giovanile che proveniva solo dal profondo del cuore e perciò lontana, lontanissima da ogni benché minima sopraffazione…

Adesso – e siamo ad appena qualche mese fa – dopo la pubblicazione dell’ultimo disco, “L’ultima Thule”, Guccini ha detto che non scriverà più canzoni ma che vorrà dedicarsi soltanto alla letteratura. Ma poesia e canzoni, musica e prosa nella vita sono un tutt’uno.

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