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Spettacoli

LE CANZONI E UN’EPOCA

MANIGLIO BOTTI - 19/07/2013

Si dice che le canzonette, come i film o i romanzi, sappiano bene interpretare la realtà, il momento e l’epoca, e spesso ne danno una raffigurazione che è molto più esplicativa e vera di un libro di storia. È un’affermazione giusta, ma solo in parte. Cioè con le dovute eccezioni. Perché spesso canzonette, film e romanzi offrono di quella realtà una traccia minimale e talvolta – magari in buona fede – addirittura fuorviante.

Prendiamo come esempio il famoso Sessantotto, che è lo spartiacque della mia generazione, ovvero di coloro che – come si afferma con malcelato sorriso – sono nati negli ultimi anni della prima metà del secolo scorso, o a cavallo di quella metà, diciamo per esemplificare tra il 1945 e il 1955. Una generazione tutto sommato fortunata, nel senso che non ha conosciuto nessuna guerra (se non quelle combattute da Paesi alleati) ma che in Italia ha attraversato in età quasi matura i cosiddetti “anni di piombo” e, appunto, che s’è affacciata ventenne al mondo proprio nel Sessantotto e dintorni, in quel periodo che Mario Capanna volle definire gli “anni formidabili”.

Se andiamo a confrontare i dati con l’aiuto di qualche libro scritto da specialisti (Dario Salvatori) e di una rapida navigazione in Internet e a riflettere un po’, scopriamo cose interessanti. Rispolveriamo il ricordo.

Intanto, prendiamo i titoli dei primi dieci singoli (nel senso di dischi) più venduti nel 1968, quelli della Hit Parade italiana: al primo posto “Azzurro”, di Adriano Celentano; poi “La Bambola”, di Patty Pravo”; “La nostra favola” (cover di Delilah) di Jimmy Fontana; “Applausi” dei Camaleonti; “La Tramontana” di Antoine; “Rain and tears” degli Aphrodite’s Child; “L’Ora dell’amore” (Homburg) ancora dei Camaleonti; “Il Volto della vita” (The days of Pearly Spencer) di Caterina Caselli; “Angeli negri” (Angelitos negros) di Fausto Leali; “Il Giocattolo” di Gianni Morandi: E mettiamoci anche la – famosissima – undicesima: “Ho scritto t’amo sulla sabbia”, un tormentone dell’estate, di Franco I e Franco IV.

Nulla che facesse presagire o riflettesse su tempi cupi e quasi rivoluzionari. E non è che, nella realtà, mancassero esempi di momenti frenetici, convulsi, tristi e bellicosi. Nel Vietnam del Sud il 31 di gennaio di quell’anno – il 1968 –, primo giorno del Tet, il capodanno buddista, i guerriglieri vietcong cominciavano un’offensiva contro le l’esercito USA, che è entrata nella storia. Gli Stati Uniti, al loro interno, registravano gli omicidi del leader nero e non violento Martin Luther King e del senatore Robert Kennedy, il fratello di John, che era stato assassinato a Dallas cinque anni prima. Nell’agosto i russi e le forze del Patto di Varsavia soffocavano con i carri armati la Primavera di Praga, avviata in Cecoslovacchia da Alexander Dubcek. A Città del Messico, agli inizi di ottobre, a dieci giorni dall’inaugurazione delle Olimpiadi la polizia e l’esercito massacrarono studenti in rivolta in piazza delle Tre Culture.

E anche da noi, nella nostra Italietta felix e sempre attenta, si viveva un’epoca piena di fermenti: un’ondata di agitazioni nelle università (Torino, Trento, Pisa), la citatissima manifestazione di Valle Giulia a Roma (1 marzo), dove si verificarono duri scontri tra la polizia e gli studenti che tentavano di raggiungere la facoltà di architettura occupata (centocinquanta feriti, tra ragazzi e celerini, quattro dimostranti arrestati, più di duecento i fermati). È la stessa manifestazione in cui si vede correre (scappare?) un giovanissimo e non ancora diciottenne Giuliano Ferrara, quando ancora la maggiore età si conseguiva a ventuno anni e i diciotto erano buoni solo per ottenere la patente di guida e per assistere a qualche film supervietato. La maggiore età a diciotto fu una conquista di sette anni dopo.

Le canzonette (e quindi i cantanti e gli autori, ergo gli utilizzatori finali del prodotto) stentavano a interpretare la gravità del momento. Non è che le cose cambiarono nel 1969, l’anno successivo (ecco la Hit Parade: “Lo straniero” di Georges Moustaki al primo posto, “Storia d’amore” di Celentano al secondo, “Non credere” di Mina al terzo, “Lisa dagli occhi blu” di Mario Tessuto al quarto, “Pensiero d’amore” di Mal al quinto, “Rose rosse” di Massimo Ranieri al sesto…).

C’erano degli avanguardisti? Si segnalavano interessanti eccezioni? Mah!

Giorgio Gaber, che in tante cose è stato un precursore, il sarcastico commentatore di un certo modo di essere, nel 1968 – proprio nel 1968 – cantava: “Vengo a prenderti stasera / sulla mia Torpedo blu / l’automobile sportiva / che mi dà un tono di gioventù… / Indosserò un bel doppiopetto / e un cappellone come Al Capone…”. Oppure: “Goganga, goganga, goganganghenga, ghegogogo… “. Il che era anche divertente. Un po’ dissacrante (almeno Goganga). Ma ci voleva davvero un grande impegno per riuscire a capire qualcosa di quello che stava succedendo. Fuori, nel mondo.

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