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Politica

QUESTO STATO SPRECONE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 26/07/2013

Il governo non sa trovare i pochi miliardi di euro per non alzare l’aliquota dell’IVA, che provocherebbe un generale aumento dei prezzi, per pagare i sussidi ai lavoratori improvvidamente “esodati” e per abolire l’IMU sulla prima casa che Berlusconi si era impegnato con la Comunità Europea a ripristinare.

Lo Stato italiano spende male e più di quanto incassa e gli stessi Enti locali non sono quei campioni di virtù civiche che vengono descritti ma sono anch’essi responsabili del dissesto delle finanze nazionali. Nel 2010 il ministro Tremonti scoprì che tra ambasciate, agenzie di promozione ed enti vari le nostre Regioni possono contare su centosettantotto costosissime sedi estere anche in Paesi lontani; nella sola Bruxelles, capitale dell’Unione Europea, si contano ben ventisei sedi regionali.

Una corsa alla spesa inutile perché le esportazioni dei prodotti italiani e la promozione del turismo

necessitano di una dimensione di sistema e non di iniziative parcellizzate e scoordinate. Le Regioni non si limitano a far concorrenza allo Stato nel realizzare le proprie rappresentanze all’estero ma distribuiscono a man bassa lucrose consulenze a presunti esperti che, spesso, sono dei fiduciari dei partiti. Così la spesa pubblica si gonfia ma finora nessuna Regione italiana è riuscita ad impostare una seria politica ambientale per valorizzare le nostre bellezze naturali e di tutela del territorio dai danni provocati dagli eventi naturali comprese alluvioni e terremoti; sono così venute meno ad uno dei loro compiti costituzionali.

Le Provincie sono diventate enti inutili, svuotate delle loro funzioni originarie a malapena compensate dalle “deleghe” regionali con sovrapposizione di interventi; il loro bilancio è in gran parte destinato a mantenere le strutture e per pagare i dipendenti e, secondo un’indagine del “Corriere”, per ogni euro investito in conto capitale se ne spendono 3,7 per l’organizzazione; nessuna azienda privata gestita con tali criteri eviterebbe il fallimento.

Anche i Comuni non sono sempre virtuosi, lo Stato ha tagliato loro gran parte dei trasferimenti sostituiti in parte da proprie entrate fiscali; anche qui gli investimenti e i servizi sociali sono stati ridotti all’osso ma il ceto politico, il personale amministrativo e i consulenti sono aumentati di numero nonostante l’avvento delle procedure informatizzate. Si ricorre spesso alle aziende municipalizzate controllate per aggirare il blocco delle assunzioni; il solo Comune di Roma, con questo espediente, ha raddoppiato i suoi trentamila dipendenti; a livello nazionale questi enti fasulli assorbono, secondo la Corte dei Conti, duecentocinquantacinquemila dipendenti con trentottomila dirigenti. Anche da qui il fenomeno delle doppie e triple “pensioni d’oro” per gli alti funzionari. Mentre negli Stati Uniti una grande città come Detroit è stata dichiarata fallita, da noi si trova sempre un modo per ripianare i debiti locali facendo ricorso alla fiscalità generale. Lo scandalo dei fondi spese per i gruppi politici delle Regioni ha dimostrato una preoccupante tendenza generale a saccheggiare le risorse pubbliche per i stravaganti e scandalosi usi personali mentre l’assistenza ai bisognosi è centellinata.

Il disordine incontrollato della Pubblica Amministrazione è all’origine del dissesto della nostra finanza pubblica e il progetto di federalismo fiscale non ha corretto il difetto di fondo che è quello di accentrare le entrate da parte dello Stato mentre si lascia ampia discrezionalità alle decisioni di spesa locale; distribuendo le risorse sulla base della “spesa storica” senza badare ai costi effettivi e alla loro resa sociale. Così gli Enti locali, a dispetto di un sano concetto di federalismo, sono stati responsabilizzati: si spende spesso per ragioni di prestigio e si scarica la responsabilità sul governo centrale che è costretto ad aumentare le tasse per far quadrare i conti dello Stato.

Sempre secondo l’indagine del “Corriere” del 20 luglio scorso, negli ultimi decenni le tasse statali sono cresciute del 95% ma la fiscalità locale è aumentata del 500%.

La pletorica e inefficiente burocrazia del nostro Paese è una delle cause della sua mancata concorrenzialità: in Gran Bretagna un’azienda può iniziare la propria attività ottenendo i vari permessi nell’arco massimo di due mesi; in Italia ce ne vogliono almeno sei.

In realtà è tutto il sistema delle autonomie locali che andrebbe rivisto, smontato e ricostruito su basi nuove; vi sono troppi minuscoli Comuni che potrebbero funzionare meglio mettendo insieme i servizi essenziali; vi sono Regioni più piccole di una Provincia e Provincie più piccole di una città che mancano di una base di risorse per rendere sostenibili le funzioni; mentre non è stato ancora attuato un ente di vasta area come la città metropolitana.

Invece di puntare su una ristrutturazione dello Stato, ad uno snellimento della burocrazia per ridurre costi e sprechi, si continua ad aumentare le tasse e spese a carico dei contribuenti senza neppure che tale fardello abbia contribuito a migliorare la qualità dei servizi.

La disaffezione della politica nasce da questa situazione.

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