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Cultura

MODIGLIANI E LA SCUOLA DI PARIGI

PIERO VIOTTO - 13/09/2013

Jeanne Hébuterne in foto e nel ritratto di Modigliani

Chi vuole ammirare insieme e confrontare fra di loro i capolavori della pittura e della scultura tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo dovrebbe visitare la mostra “Modigliani e l’ècole de Paris” chela Fondazione Gianaddapresenta a Martigny fino al 24 novembre. O procurarsi il catalogo che presenta a colori tutte le ottantadue opere, di cui venticinque di Amedeo Modiglioni (1884-1920) con una preziosa “Cronologia illustrata” degli avvenimenti parigini tra il 1906 e il 1919 che permettono di collocare nel contesto storico le singole opere dei venticinque artisti francesi e tedeschi, italiani e spagnoli, russi e ungheresi, lituani e rumeni, polacchi e cileni, molti dei quali ebrei presenti in mostra.

Dopo l’Impressionismo, che ha svuotato le scuole di Belle Arti e disperso in campagna gli artisti a cercare i colori cangianti alla luce che varia ad ogni ora, non c’è più stato un vero e proprio “movimento” e quella che il giornalista André Warnod su “Le Figarò” chiamò nel 1925 “L’ècole de Paris” non è che un insieme di artisti dalla provenienza più eterogenea che approdavano a Parigi, si incontravano a Montmartre e a Montparnasse in un’assoluta libertà creativa, ma che avevano in comune il bisogno di recuperare nella modernità la bellezza della figura umana ispirandosi non solo alla classicità ma anche alle culture primitive extraeuropee che incominciavano ad essere conosciute. In questo clima multiforme vanno lette le opere presenti in mostra, cubiste di Georges Braque e di Pablo Picasso, futuriste di Gino Severini, naturalistiche di Marc Chagall, e quelle quasi veriste di Moise Kisling e di Suzanne Valadon madre di Maurice Utrillo.

Il tema centrale mostra, di fatto, è la figura umana, perché a parte alcune nature morte – interessante quella di Léopolde Sauvage che recupera alcune ricerche cubiste e alcuni paesaggi, importanti quelli Maurice Utrillo che ritraendo case e vie di Montmartre, sono diventati le icone della Scuola di Parigi – abbondano i ritratti. Possiamo confrontare quelli affusolati e lineari di Modigliani costruiti su grandi masse cromatiche con quelli quasi espressionisti di Chaїm Soutine o con quelli realistici di André Derain a cui si ispirerà Giorgio De Chirico.

Molti sono i ritratti opera di Modigliani ed in catalogo ci sono anche le riproduzioni dei ritratti che l’artista italiano ha fatto agli altri bohémiens della vita parigina, che frequentavano i medesimi locali, ed i ritratti fatti allo stesso Modigliani come quelli di Juan Gris o di André Derain. Il ritratto va sempre confrontato con la fotografia del soggetto ritratto per comprendere come l’opera d’arte non intenda riprodurre la figura ma cogliere gli stati d’animo della persona, senza contraffarne l’identità. La documentazione del catalogo permette questi confronti, e possiamo ammirare il ritratto di Jeanne Hébuterne (1898-1920) una giovane pittrice di famiglia cattolica, che frequenta gli artisti di Montparnasse, molto bella con un viso ovale e lunghi capelli castano chiaro, era chiamata “noce di cocco”, che si innamora perdutamente di Modigliani, diventa sua modella, si ritraggono reciprocamente in alcune tele. La famiglia è contraria a questa relazione, perché lui è ebreo, affetto da alcolismo, ha una vita dissoluta e una pessima salute. Il mercante d’arte Léopold Zborowski nel 1918 trova per loro un rifugio sulla Costa Azzura, dove Modigliani conosce Renoir, dipinge i suoi unici paesaggi. Nasce la primogenita che battezzano col nome di Jeanne. Ritornano a Parigi dove l’artista muore a trentacinque anni, e Jeanne Hébuterne che è alla sua seconda gravidanza si suicida. Il ritratto che Modigliani fa alla sua donna non riproduce il volto ovale, ha forme allungate nello stile dell’artista, ma coglie tutta la dolcezza di quel viso.

Probabilmente influenzato anche dalla nascita della figlia, Modigliani, che dipinge sempre figure isolate, lavora negli anni 1918-1920 anche sul tema della maternità: una doppia versione di “Zingara con bambino” dai colori vivaci ma il volto del bimbo coperto dai panni che lo avvolgono e una “Maternità” , dipinta qualche settimana prima della morte. Così l’opera è presentata in catalogo: “Colori scuri, è probabilmente inverno, la madre e il suo bambino portano indumenti pesanti , la loro pelle è arrossata come se fossero stati esposti al freddo. I tratti del viso della donna sono tesi e affaticati, i suoi occhi sono cerchiati, le sue spalle sembrano crollare sotto lo spesso dei vestiti; i due protagonisti indifferenti l’uno all’altro condividono con la loro massa corporale uno spazio altrettanto massiccio”. La critica ha visto in quest’opera un ritorno al classicismo, ma siamo lontani dalla coeva “Maternità” piena di gioia di Gino Severini.

In mostra si può constatare il recupero della figura umana anche in scultura, nel1904 aParigi è arrivato a piedi dalla Romania Constatin Brancusi (1876-1957) che entra nell’atelier di Auguste Rodin ma ben presto se ne allontana per unirsi agli artisti di Montparnasse. Qui conosce Modigliani, lo avvia alla scultura e gli insegna non a modellare la creta per poi fondere l’opera in bronzo ma a tagliare direttamente la pietra. Modigliani lo segue per questa strada scolpendo alcune teste femminili, che nella loro verticalità possono richiamarsi alle figure allungate delle cattedrali gotiche, e alcune “cariatidi”, ma poi a causa della sua malferma salute, deve abbandona la scultura, perché troppo faticosa. Di queste cariatidi, in piedi, sedute, inginocchiate, restano molti disegni, che in catalogo sono così presentati: “Il sogno di Modigliani è di costruire ‘un tempio della voluttà’ sostenuto da donne magiche, misteriose e ieratiche, incarnanti una bellezza stilizzata”. La scultura nella vita di Modigliani fu solo una parentesi, ma le teste, in seguito, si svilupperanno nei ritratti di molte modelle, di altri artisti e di poeti, (Pierre Reverdy, Jean Cocteau) di committenti e di mercanti, e nei nudi sdraiati che provocarono scandalo nella mostra del 1917 obbligando la polizia a chiuderla poco dopo l’apertura.

Quella di Martigny su “La scuola di Parigi” è una mostra da non perdere perché presenta l’ultima grande stagione dell’arte europea, poi nella globalizzazione l’asse portante del mercato si sposterà in America e la “Scuola di Ney York” che con Jackson Pollock distruggerà la figura, risolvendo l’opera d’arte in una percezione ottica, o con Andy Warhol a un collage di fotografie.

Chiudo con una testimonianza di un protagonista di questa mostra, Gino Severini che, dopo avere visitato la mostra di Pollock a Parigi scrive a Maritain: “Isolati dall’Europa e dalla Scuola di Parigi, gli artisti americani non hanno smesso di ruminare ciò che era stato fatto a Parigi dal 1908 con la ferma intenzione di ‘andare più lontano’. Alla fine ne è uscito ciò che è stato chiamato ‘Espressionismo astratto’, divenuto quindi ‘Pittura di azione’ (Action paiting). Tutta la preoccupazione di quegli artisti è nell’atto del dipingere, cosa che ha condotto alla pittura della spennellata e allo scarabocchio” (10 gennaio 1960).

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