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Cultura

LA MISERICORDIA NELL’ARTE

PIERO VIOTTO - 29/04/2016

 

Il tema delle opere della misericordia è stato trattato più volte in relazione alle opere dedicate all’amore del prossimo bisognoso e sofferente, il merito di questo nuovo libro di Giovanni Santambrogio, Il volto della misericordia nell’arte, (Ancora, Milano 2016, pp, 160 euro 29, 50) con una introduzione di Ferruccio de Bortoli, sta nel raccordare la solidarietà umana alla misericordia di Dio e di esplorare in questa chiave interpretativa la storia dell’arte.

Infatti la prima misericordia è l’amore di Dio, che chiama l’uomo alla vita soprannaturale, donandogli la possibilità di diventare figlio di Dio e che davanti al rifiuto che ha introdotto nel mondo la morte, libera l’uomo dalla sua colpa nel sacrificio di Cristo.

L’amore del prossimo è raccordato all’amore di Dio, perché come insegna il Vangelo ogni opera buona fatta all’affamato e all’assettato, all’ignudo e al pellegrino, al malato e al prigioniero, è come se l’avessimo fatta a Gesù stesso; è stato, il cristianesimo a promuovere nella storia le confraternite di misericordia per soccorrere i bisognosi di aiuto, a creare le prime istituzioni ospedaliere, gli orfanotrofi e i ricoveri per anziani. Con questa impostazione, il libro sviluppa con riflessioni teologiche, considerazioni storiche e analisi estetiche intorno ad alcuni capolavori, presentati nella loro integralità e nei loro dettagli, che evidenziano questa valutazione, molto importante in un momento in cui sulla stampa periodica si confonde la misericordia con la solidarietà, come fa anche Eugenio Scalfari nell’editoriale su “La Repubblica” di domenica 12 marzo.

L’Autore inizia con il presentare un opera di Caravaggio, la scena principale del trittico di San Matteo, dipinto per l’Anno Santo 1600 nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, e analizza il momento della chiamata di Gesù a Levi di Cafarnao, esattore delle tasse. Evidenzia come, in un’atmosfera nella quale il tempo sembra essersi fermato, e il silenzio domini sovrano, la scena sia costruita sul gioco delle mani, e sul fascio di luce che illumina il volto stupito del chiamato, mentre gli altri si concentrano a contare le monete sparpagliare sul tavolo, prigionieri nelle vicende di questo mondo.

Dopo analizza il grande affresco della “Trinità” che Masaccio ha dipinto nel 1426 nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, un’opera che segna il passaggio dal mondo medioevale a quello rinascimentale in. Sottolinea la costruzione geometrica dell’opera, impostata su diversi triangoli, che nascondono una “geometria celeste”, perché il Padre sorregge e accoglie il Figlio crocifisso, mentre Maria e Giovanni in basso di questa triangolazione, rappresentano la Chiesa nascente.

Tra questi due capolavori, quasi come loro cerniera Santambrogio colloca “Il figliol prodigo” di Rembrandt, una figura emblematica della misericordia, l’abbraccio del padre che accoglie il figlio peccatore, che ritorna a casa, stracciato e quasi scalzo, dopo avere dissipato nei piaceri del mondo la sua parte di eredità. Questo abbraccio è costruito in una mandorla che “nella simbologia cristiana rappresenta l’interiorità nascosta nella esteriorità”.

L’Autore commenta le due mani del padre, ed anziché riferirle solo alla differenza tra una mano maschile e una mano femminile, come solitamente si interpreta per sottolineare la tenerezza di Dio, rimanda questa differenza alla giustizia e alla misericordia di Dio che si completano. In penombra si intravedono alcune persone che quasi incredule assistono a questa riconciliazione.

Il commento al “Polittico della Misericordia” che Piero della Francesca negli anni 1450-1460, per la Confraternita della misericordia di Sansepolcro, ha costruito su ventitré tavole su fondo oro, al centro, in mezzo a numerosi santi ciascuno isolato nella sua immagine, troneggia una grande figura di Maria che con il suo manto, blu all’esterno e colore marrone, quasi cenere, all’interno – Lei, madre di Gesù, raccorda Cielo e terra –, avvolge da un lato quattro uomini e dall’atro quattro donne sotto la sua protezione. È presente anche Piero che ha disegnato il suo autoritratto, accanto all’uomo con il cappuccio nero della confraternita della buona morte. Proprio mantellati e mantellate erano chiamati i membri delle confraternite medioevali che assistevano i bisognosi.

L’autore rileva che il volto ieratico di Maria, “così plastico da ricordare una statua di marmo”, come tutti volti di Piero della Francesca, sembra impassibile, ma se si osserva bene ci si accorge che sulla corona, che cinge il capo regale, si scorgono le spine della corona di Cristo.

Segue la pala di altare che Caravaggio ha dipinto nel 1607 per il Pio Monte della Misericordia di Napoli, nella quale sotto un volo di angeli sono rappresentate insieme, in un brulichio congestionato di figure, quasi come le persone nei vicoli della città, tutte le sette opere di misericordia corporale: “Il quadro è un teatro di volti e di espressioni diverse, che rendono concreta e comprensibile l’affermazione del filosofo ebreo Lévinas “Il volto è, in sé e per sé, visitazione trascendenza”; quelli che praticano le opere della misericordia e quelli che ne beneficiano si sentono avvolti nell’amore di Dio.

Non per nulla Caravaggio ha dipinto al di sopra degli angeli Maria con il suo Bimbo.

Il volume infine presenta gli affreschi della scuola del Ghirlandaio che si trovano nella chiesa di San Martino a Firenze, diventata sede dell’Oratorio dei Buonomini, un confraternita promossa nel 1442 da Sant’Antonino, allora priore del convento di San Marco, quando le conseguenze della politica economica di Cosimo de’ Medici mise sul lastrico molte famiglie fiorentine, che diventate bisognose si vergognavano a elemosinare.

In ogni lunetta è narrata, con figure a grandezza d’uomo, una delle opere di misericordia. L’autore, rilevando come la miseria economica sia frutto di cattiva amministrazione, commenta “La povertà non è mancanza del necessario. È spesso esito di una sottrazione. Viene in mente il giudizio di san Tommaso “La giustizia senza misericordia è crudeltà, la misericordia senza giustizia è dissoluzione”.

De Bortoli nella introduzione al volume scrive: “La miseria non è una colpa. Come purtroppo possiamo pensare in una economia di mercato”. L’editore ha messo in copertina proprio l’immagine dell’ “Alloggiare i pellegrini”, che ci ricorda il dovere di ospitalità in questo tempo di tragiche emigrazioni di massa.

Alle opere di misericordia spirituale è dedicata solo la presentazione di una scultura del Canova, perché nella storia dell’arte queste opere sono state trascurate; mentre invece dovrebbero essere valorizzate, perché proprio la loro pratica potrebbe fare diminuire il bisogno di praticare le opere di misericordia corporale. Ricordo solo un ciclo che rappresenti tutte le opere di misericordia corporale e spirituale, è stato dipinto a Como, nel 2012, da Mario Bogani nella chiesa dell’Opera don Guanella.

Il libro di Santambrogio si legge e si guarda con ammirazione, perché le parole e le immagini si compenetrano in un discorso unitario e coerente, dove teologia e arte, economia e politica, storia e filosofia si intersecano in una valutazione non solo estetica ma anche morale.

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