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Cultura

I VEDUTISTI VENETI SI RITROVANO

PIERO VIOTTO - 15/04/2016

 

Da quando Giovanni Antonio Canal (1697-1768) detto Canaletto, scenografo in giro per i teatri d’Italia, insieme al padre, abbandonò il mestiere al servizio della rappresentazioni teatrali per dedicarsi al paesaggio, seguendo le intuizioni dell’olandese Van Vittel e del friulano Luca Carlevarijs, inventando la “veduta”, cioè il paesaggio ripreso attraverso uno studio preliminare con la camera ottica, per tracciare, con le linee prospettiche di fuga, gli schizzi a matita da rielaborare in studio, il vedutismo è diventato un genere, ma ha prodotto molti capolavori, soprattutto a Venezia dove il riflesso della luce sull’acqua illumina le strutture architettoniche in modo cangiante e sempre nuovo.

È un errore di valutazione estetica considerare questi artisti come dei “pittori fotografi”, perché in ogni veduta l’artista aggiunge alla visione ottica la sua particolare sensibilità, tanto che il medesimo paesaggio tra un vedutista e l’altro cambia di intonazione, come pure è un errore storico fermarsi agli altri più noti vedutisti come Bernardo Bellotto (1721-1780) e Francesco Guardi (1712-1793), perché fino a tutto l’ottocento, prima che i cattivi maestri dell’informale iniziassero a distruggere l’oggetto stesso della creazione artistica, molti altri artisti si sono impegnati in questi paesaggi, studiati e costruiti con la mente e con il cuore.

A Palazzo Martinengo a Brescia, aperta fino al fino 12 giugno, una bella mostra di oltre cento quadri dei più importanti vedutisti dal XVIII al XIX secolo selezionati da un comitato scientifico internazionale presieduto dal curatore Davide Dotti mi conferma in questo giudizio. Nel catalogo della Silvana Editoriale, che presenta tutte le opere esposte, comprese le incisioni in rame, diversi saggi critici illustrano il percorso museale, anche con un’attenzione alle tracce di pittura veneta presenti a Brescia soprattutto nelle chiese.

La mostra è titolata “Lo splendore di Venezia, Canaletto, Bellotti, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento” e il curatore nel saggio introduttivo ne stabilisce le coordinate “Canaletto fu il dominatore incontrastato della scena artistica veneziana per oltre tre decenni e riuscì ad avere una sorta di monopolio delle fruttuose committenze. Non ebbe sostanzialmente rivali, anche perché dalla sua parte si schierò la fortuna. Il vecchio Carlevarijs uscì di scena quando il maestro era poco più che trentenne e il nipote Bellotto, l’unico dotato di un talento così grande da potere competere con lo zio, lasciò Venezia in giovane età, perché probabilmente si sentiva schiacciato dalla sua ingombrante fama”. Ma al di là della fortuna e del successo commerciale del Canaletto rimane il fatto che il vedutismo ebbe molti altri interpreti, come il catalogo documenta, tanto che su 100 quadri in mostra ci sono solo quattro opere di Canaletto.

La mostra inizia con un quadro di Wittel, che nel 1714 ritrae l’inizio del Canal Grande con la chiesa di Nostra Signora della Salute, la migliore espressione del Barocco a Venezia e chiude con alcune opere di Favretto, Fragiacomo, Milesi, Belloni che alla fine dell’Ottocento lascano prevalere la figura umana sul paesaggio e segnano la fine di questi genere pittorico. Presento alcune opere tra loro molto diverse non solo per l’inquadratura e il taglio dell’oggetto rappresentato, ma per le interpretazioni soggettive dell’emozione creatrice, utilizzando anche le informazioni delle schede del catalogo, che ne fanno un commento storico ed estetico molto dettagliato.

Debbo iniziare con il più celebre quadro del Canaletto, che è stato posto in copertina sul catalogo e che rappresenta, nel cuore di Venezia, la piazzetta, con il Palazzo Ducale e la Biblioteca marciana dello Scamozzi, la Basilica e il campanile di san Marco, in primo piano il molo, in primissimo piano diverse imbarcazioni. Sembra quasi una cartolina, ma se si fissa l’attenzione si vede il brulichio delle persone, che si muovono sulla riva, le nuvole che rendono il cielo luminoso, le minutissime onde che increspano la laguna.

Un altro universo pittorico è quello del Guardi, nei suoi quadri l’orizzonte è più basso, non ci sono edifici in primo piano, ma sequenze di architetture che quasi scorrono da una parte e dell’altra del canale, e nei due terzi della rappresentazione spazia il cielo. Ad esempio si ammiri e analizzi la tela “Il Canal Grande al ponte di Rialto” del 1764.

Giuseppe Borsato (1771-1849) per molti anni scenografo al Teatro la Fenice, ha dipinto diverse vedute di Venezia, celebre quella “Il molo di san Marco con la neve” che così viene presentata in catalogo: “All’interno della composizione, immersa in una luce livida, risalta il candore della neve che ha coperto rive, tetti e barche, mentre delle macchiette sembrano commentare l’eccezionale fenomeno o sono intende ad aprire varchi tra il manto nevoso”.

Interessante la veduta di Guglielmo Ciardi (1842-1917) sull’altro importante canale,“Il Canale della Giudecca” che, essendo costruita con un taglio molto basso permette all’artista di indugiare sulle nuvole, che riflettono la luce sulla laguna con una ricchezza cromatica di grigi, azzurri e bianchi La mostra di Brescia è una mostra importante perché permette il confronto della “veduta” nelle multiformi variazioni della sua storia, ed è la prima volta che tante opere, anche di artisti poco noti, possono essere viste, apprezzate, e confrontate insieme

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