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Attualità

VITA SOSTENIBILE

ANNA DE PIETRI - 27/09/2013

Il nostro stile di vita è sostenibile? Abbiamo imparato a fare la differenziata, una conquista, e magari vorremmo mettere un pannello solare sul tetto. Ma non riusciamo – o non sappiamo trovare – valide alternative all’auto, ai soliti detersivi, all’acquisto di tutte quelle cose carine o tecnologiche di cui in realtà ci interessano soprattutto il prezzo o la marca. E poi buttiamo e buttiamo una moltitudine di cose.

A dire il vero non ci poniamo molte domande. Per esempio non stiamo attenti al ‘dove’ e soprattutto al ‘come’ viene fabbricato ciò che acquistiamo. Non pensiamo che continuare a comprare prodotti a basso costo può implicare danni ambientali oppure sottrarre lavoro al nostro Paese. Non sappiamo neanche quanta energia, quali e quanti materiali richiede il nostro stile di vita. Ci sembrano ragionamenti troppo lontani per entrare nella nostra quotidianità. Purtroppo questa logica non ci porterà lontano perché le risorse non sono illimitate e il mondo non è una discarica. Per fare un passo avanti occorre essere responsabili delle nostre scelte e diventare i protagonisti di una svolta decisiva che tenda alla produzione di zero rifiuti.

Le parole ‘sostenibilità’ e ‘ecosostenibilità’ sono oggi molto usate e ci ricordano continuamente che possiamo fare molto più di quanto facciamo. Tra le mura domestiche o nei luoghi dove ci muoviamo o lavoriamo, possiamo migliorare sensibilmente il nostro rapporto con l’ambiente adottando scelte e comportamenti consapevoli. Ma che cosa vuol dire abitare in modo sostenibile? Intanto dobbiamo cominciare ad “Ascoltare delle storie”, come ci suggerisce Giuliana Zoppis, architetto, giornalista e soprattutto cofondatrice di Best-Up primo circuito nazionale dell’abitare sostenibile (www.bestup.it): “Le declinazioni della sostenibilità non sono uniche per tutti i prodotti e soprattutto non si colgono al primo sguardo. Implicano il racconto di una storia che nasce dalle materie prime, dal progetto di un designer, dal trasporto verso una produzione. Continua con il lavoro di un gruppo di persone (magari diversamente abili o diversamente libere), azioni di trattamento, assemblaggio, distribuzione, vendita e che prosegue con l’utilizzo e lo smaltimento. Nella creazione, così come nella scelta di un prodotto, conta ognuno di questi aspetti. Che sia una maglia, un mobile, un’auto e così via. Bisogna puntare a un ciclo in cui nulla si spreca e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma per una vita del prodotto in continua rinascita, che va cioè ‘dalla culla alla culla’ (C2C). Dobbiamo veramente seguire alcuni capisaldi: il consumo minimo di energia in ogni fase di produzione, i rifiuti come fonte di nuove risorse e la valorizzazione delle diversità. Nel campo dell’ecosostenibilità le imprese italiane hanno fatto grandi passi avanti. Da noi c’è un circuito di qualità legato alle piccole imprese e spesso queste imprese sono anche più avanti rispetto al loro stile comunicativo”.

Seguendo i consigli di Giuliana, per capire quando un oggetto, una casa, un processo sono sostenibili dobbiamo dunque andare a fondo della loro storia. Ci abbiamo provato. Spunti preziosi li abbiamo trovati ad esempio nell’esperienza dell’architetto e designer varesino Giorgio Caporaso, ideatore di arredi e oggetti in grado di integrarsi con il dinamismo contemporaneo e l’ambiente: “Innanzitutto una piccola provocazione: più che di ecodesign, mi piacerebbe poter parlare di design e basta perché penso che l’aspetto eco dovrebbe essere un assunto. Il design ha il compito di progettare oggetti che ci aiutano a vivere meglio e ha il dovere di progredire senza perdere le conquiste raggiunte. Bellezza, performance e funzionalità devono darci piacere ben conciliandosi con l’ambiente e la società. Un oggetto deve essere bello e sostenibile senza trasmettere alcun senso di impoverimento. Secondo me, la casa dovrebbe contenere oggetti e arredi belli, utili, versatili da cui non vorremmo più separarci. Perché buttare qualcosa a cui teniamo se possiamo trasformarlo in qualcos’altro, ripararlo con facilità o adattarlo alle mode? È una notevole riduzione di rifiuti, oltre che un bel risparmio. Io non ho una ricetta assoluta per la sostenibilità, posso solo dire che la mia ricerca punta alla longevità dei prodotti, all’affezione verso di essi, all’uso e alla contaminazione di materiali riciclati e riciclabili (cartone, legno certificato, bioplastica ecc.) e naturali (beola, licheni), alla riduzione massima di materiali ed energia per la produzione, all’impiego di tecnologie semplici. Ogni arredo, ogni oggetto nato da questo percorso è componibile e scomponibile (anche per una maggior facilità ed economicità nel trasporto e nello smaltimento), ha i suoi pezzi di ricambio e può avere diverse funzioni che si adattano ai nostri cambiamenti e alle mode (es.: una libreria diventa seduta, una chaise longue diventa poltrona con una sola rotazione, un tavolino è anche lampada e contenitore). Credo poi nel giusto prezzo delle cose, adeguato ai costi reali di una produzione sostenibile e alla giusta remunerazione della manodopera. Penso anche che per abitare in modo sostenibile le case debbano essere progettate per risparmiare energia, utilizzando fonti rinnovabili, e non devono essere uno scempio per il territorio. Anche il rispetto del verde e la sua re-introduzione in città, magari con sistemi pensili, possono dare benefici energetici e sociali ai cittadini”.

Da questi input è evidente che vivere e abitare in modo sostenibile sono conquiste a portata di mano, che però ci chiedono di perdere un pizzico di passività imparando a scegliere in modo responsabile, secondo valori da non ignorare. Tutto meno veloce, forse, ma finalmente a misura d’uomo.

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