Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Società

FAME E SETE DI GIUSTIZIA

LIVIO GHIRINGHELLI - 04/10/2013

“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6): il testo evangelico propone, al di là di certe interpretazioni esegetiche, che spiritualizzano la fame, l’indicazione di una condotta, di una missione, di un programma di vita di lotta contro l’ingiustizia, assumendo la causa dei poveri in funzione del loro riscatto e redenzione.

L’annuncio è lieto perché significa liberazione da una condizione iniqua nei confronti dei deboli, dei non accolti, di quanti sono spinti oltre i margini della città. È la sostanza relazionale che è messa in causa. Paolo VI con la Populorum Progressio (1967) predicava che la povertà è effetto dell’ingiustizia sociale: “I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno , quando gli altri mancano del necessario”. E prima il Concilio Vaticano II sollecitava: “Non sia dato per carità quello che è dovuto per giustizia”.

La ricchezza va sì concepita come conquista, come frutto naturale del lavoro, ma anche in termini di restituzione, di bene sociale ( di conseguenza Luca , At 4, 32-34: nessuno infatti tra loro era bisognoso). È male la ricchezza se chiude il cuore e non è distacco, se è investita in potere che crea sempre nuove disuguaglianze ed esclusioni. È la giustizia che bonifica la ricchezza, in quanto spartisce equamente e crea tra gli uomini un legame di responsabilità reciproca. In questo consiste il fare la volontà del Padre. Ne deriva l’interesse per l’efficienza della cosa pubblica, il preservare i diritti dei singoli conciliandoli coll’interesse generale, il praticare le buone opere nella quotidianità (diuturnitas), l’aderire a un patto di alleanza ( violare la legge equivale a rompere un patto d’amicizia, di solidarietà. La legge è un dispositivo relazionale. Di fronte all’asimmetria che caratterizza la nostra società va portato in pari quanto è sbilanciato.

La regola aurea, per cui la giustizia consiste nel non fare quello che non vorremmo fosse fatto a noi, diventa così per converso malum est vitandum, bonum est faciendum (e si tratta di fare bene il bene). L’accentuazione è sulla volontà , sì che ne derivi un dare ed un ricevere mutui in termini di bene sociale. La preghiera del Pater (Mt 6,12) ci pone tutti reciprocamente in debito. Ed è un dare senza una contropartita di soddisfazione in certo modo egoistica consumata in autogratificazione.

Si tratta di una metanoia che esige di necessità un forte investimento culturale (le leggi non bastano), una vera e propria rieducazione, accompagnata da una conoscenza rigorosa e approfondita del problema sociale, in tempi in cui un diritto è equiparato a una merce. Giustizia non è dividere in parti uguali tra disuguali.

Interazione poi non vale integrazione ed è la fraternità che ci costituisce come persone. Il principio di prossimità esclude qualsiasi criterio di pulizia etnica, che si veda nell’altro solo un complice o un nemico (la negazione dell’altro produce solo violenza). Non si può emarginare il diverso in nome della sicurezza.

L’art.2 della nostra Costituzione garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e prescrive l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà. E la parabola evangelica degli operai della vigna chiarisce che il salario minimo di un denaro per tutti, qualunque sia l’ora in cui sono stati assunti, corrisponde all’equivalente del necessario fabbisogno alimentare di una persona per giorno. Non tradisce perciò la giustizia.

Beatitudine è parola che apre un orizzonte di senso e fa che ognuno di noi, a differenza di Caino, si faccia custode dei fratelli. Mentre la povertà patita si riduce a costrizione, quella scelta è vera libertà (è quella di San Francesco). Perciò Don Mazzolari riteneva che la sofferenza non è la strada regia per arrivare al cielo. Se la giustizia di Jahvé era lodata perché operava in favore del suo popolo (sedaqua), ora la fame di giustizia è una pretesa in termini di universalità. Si superi pertanto, come Papa Francesco avverte, la concezione che il denaro possa essere il medium generale delle relazioni umane. Non ci si può arrendere alla visione di 27 milioni di esseri umani oggi ridotti in schiavitù, di 870 milioni d’affamati nel mondo, di cui 200 milioni sono i bambini denutriti sotto i cinque anni.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login