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Società

GRANDI EMERGENZE

LIVIO GHIRINGHELLI - 18/10/2013

Di fronte al dato preoccupante di novecentomila persone, che patiscono letteralmente la fame nel mondo, stanno un miliardo e quattrocento milioni di persone che abusano del cibo. I costi economici e sociali della malnutrizione pesano per il 5% all’in circa del Pil mondiale (3,5 trilioni di dollari all’anno), con l’emergenza sul fronte opposto del sovrappeso e dell’obesità. E per converso incalza uno spreco dissennato delle risorse alimentari, tanto che l’Europa si è proposto l’obiettivo di dimezzarne la dimensione entro il 2020. Ogni anno nel nostro continente vanno sperperati 90 milioni di tonnellate di cibo, 1 miliardo e 300 milioni in tutto il mondo, stando a quanto attesta la Fao. Buttiamo via più di un terzo del cibo , che produciamo (in Italia 149 chilogrammi per persona all’anno). Da noi il cibo scartato ammonta all’1,19% del nostro PIL). Di 1.693 euro è lo sperpero alimentare di una famiglia italiana. Tutto questo è il risultato di un malaccorto consumismo, di superficialità, pigrizia e in termini ormai relativi di un eccessivo benessere. Sono già più di mille i Comuni italiani, che hanno sottoscritto la Carta spreco zero. Per fortuna si cerca di ovviare alla recrudescenza del fenomeno ricorrendo ad esempio alla redistribuzione gratuita di cibo a categorie di cittadini , che risultino vivere di necessità al di sotto del minimo accettabile e sono stati istituiti benemeriti corsi di educazione alimentare

Non meno allarmante la carenza d’acqua prevista per 1,8 miliardi di persone entro il 2025, in concomitanza con un lievitare della popolazione da sette a dieci miliardi (più 50% nei paesi in via di sviluppo di contro ad oltre il 18% in quelli sviluppati). Al proposito si è tenuta a Stoccolma dal 1 al 6 settembre u.s. la World Water Week. Per soddisfare la domanda di cibo si impiegano all’anno più di mille chilometri cubi di acqua all’anno (in Cina negli ultimi venti anni l’utilizzo di carne è risultato più che raddoppiato). Si deve tener conto oltre che dell’acqua bevuta dall’animale nella stalla, anche di quella che viene utilizzata per coltivare i cereali consumati. Il consumo di carne è di novanta chilogrammi all’anno in media, di quaranta chilogrammi nell’Africa subsahariana, di sei chilogrammi nell’Asia orientale. Un pomodoro comporta un consumo di tredici litri d’acqua, una mela di settanta, un pezzo di formaggio di cinquecento. Per un hamburger si sale a duemilaquattrocento litri d’acqua. La sua utilizzazione per uso domestico è del 10%, per uso industriale del 20%, mentre il 70% serve all’irrigazione. Ecco anche la ragione del colonialismo idrico. Si consideri inoltre che al giorno d’oggi ottocento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2 miliardi e mezzo di abitanti non fruiscono di strutture sanitarie di base.

Dopo gli Stati Uniti l’Italia figura al secondo posto nel mondo per uso d’acqua, con perdite di rete del 35%, onde l’obiettivo di ridurle al 20%. I dissalatori comportano un costo ancora troppo alto. Ecco che il Qatar è costretto a combinare fotovoltaico e solare termico con moderne tecnologie per la dissalazione. E si vuole cogliere l’opportunità di rigenerare la flora tipica dei deserti.

Per quanto concerne l’agricoltura è necessario raggiungere un’alleanza globale per la libertà dei semi, favorire una commercializzazione non mortificata dalle restrizioni sulle piante brevettate; risulta eticamente e giuridicamente errato sostenere ad oltranza l’invenzione aziendale, perché legale è tutto ciò che risponde alle leggi della natura contro ogni forzatura tecnologica (vedi il caso della conversione del Bhutan al biologico). L’agricoltura moderna non può essere in conflitto con la natura. Tutto deve congiurare per la diversità, l’adattamento, contro le monoculture, i monopoli, l’uniformità, una privatizzazione senza limiti e condizionamenti. E sono da favorire gli investimenti in piantumazioni ordinate e integrate, badando poi che il cemento non continui a mangiare duecentomila ettari di campo a spese dei contadini.

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