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Spettacoli

L’AMICO FELLAS

MANIGLIO BOTTI - 29/11/2013

Fellini e Mastroianni sul set di 8 e ½

“Ancora non riesco a rendermi conto di come Federico sia potuto morire inghiottendo un pezzo di mozzarella”. Sergio Zavoli, parlando dell’amico riminese, Federico Fellini, con il quale aveva condiviso gran parte della vita, sollevava ancora questo particolare piuttosto sconosciuto della sua scomparsa. Era andato a trovarlo in ospedale negli ultimi giorni e ricordava che Federico aveva chiesto di assaggiare un bocconcino di mozzarella, di cui era ghiotto. In effetti, forse non fu proprio quella la causa principale del decesso, in quanto Fellini era stato già colpito da un ictus a seguito di un intervento chirurgico, e quindi faticava a deglutire il cibo, ma la vicenda, così curiosa, tanto più nella storia di un personaggio che tanto aveva scandagliato la curiosità e il paradosso, continuava ad assillarlo.

Sono trascorsi vent’anni esatti dalla morte di Federico Fellini. Fosse stato vivo ne avrebbe compiuti novantatré. Zavoli, invece, lo scorso settembre, ne ha celebrati novanta, e l’ha fatto presentando alla Pescheria Vecchia della sua città un libro di poesie: “L’infinito istante”. Anch’egli riminese e con una storia alle spalle simile a quella dell’amico: cresciuti insieme, nell’infanzia e nell’adolescenza e tra giochi e speranze, nella città di mare che in diverse circostanze ha fatto da sfondo ai ricordi e ai temi del regista.

Il rapporto di Federico Fellini con la città di Rimini – scrivono alcuni biografi – è stato di “amore e odio”. Odio non si direbbe a vedere e a rivedere alcuni suoi film: dai “Vitelloni” ai “Clowns”, da “Roma” e, naturalmente, a “Amarcord”. Rimini c’è sempre: è la città del ricordo; magari è anche la città da cui un giorno si deve fuggire, ma resta soprattutto un mondo di sogni. È anche vero che Fellini non ha mai girato un metro di pellicola nella sua città di origine, insomma non vi è mai tornato come cineasta: il mare e la spiaggia dei Vitelloni sono quelli della costa laziale; il borgo, le strade, le case di Amarcord sono stati interamente ricostruiti negli studi romani, e anche il mare di Amarcord al passaggio del Rex (una delle scene più “felliniane” del film) è stato reinventato con teloni di plastica nera che si muovono e rappresentano le onde.

Ma si racconta che Fellini tornasse spesso a Rimini in incognito (quando invece vi arrivava ufficialmente con la moglie Giulietta scendeva al Grand Hotel). Partiva da Roma in auto con l’autista verso sera; più o meno all’una era sotto la finestra dell’amico Titta-Luigi Benzi, ora avvocato (colui che ha ispirato il personaggio di Titta in Amarcord); lo svegliava lanciando dei sassolini alla finestra.

Titta si vestiva in fretta, scendeva e con Federico – Fellas e Grosso, come un tempo i due si chiamavano reciprocamente – tirava mattina passeggiando e chiacchierando di donne, di vecchie storie, calciando ogni tanto un barattolo che rotolava rumorosamente sotto i lampioni nel silenzio della notte.

La città di Rimini non ha mai dimenticato il suo figlio più illustre. Quest’anno, tra le altre iniziative, nel ventennale della scomparsa, sono stati proiettati in pellicola nel cortile degli Agostiniani – ed è stata l’ultima volta perché tra poche settimane le sale lavoreranno solo in digitale – i film che Fellini aveva girato nel quarantennio e negli anni che finiscono con il numero tre: “I Vitelloni” (1953); “8 e ½” (1963); “Amarcord” (1973); “E la nave va” (1983). A ogni rappresentazione – tra l’altro i film hanno visto sempre la presenza di personaggi di cultura (gli scrittori Marco Lodoli e Alessandro Baricco, la nipote Francesca Fabbri Fellini, l’attore Ivano Marescotti, anch’egli romagnolo) – la folla si assiepava all’ingresso, tanto che per avere un posto assicurato in platea bisognava arrivare almeno un’ora e mezzo prima.

Amore e odio? Odio di certo no, dunque: né da parte di Fellini, che ha avuto sempre Rimini nel cuore, anche se infine aveva eletto Roma – la città del mito, e non solo per un riminese – come profondamente sua; né da parte dei riminesi, che alla proiezione dei film setacciavano con gli sguardi le sequenze del grande schermo – soprattutto in Amarcord –, sottolineando con affetto lo scorrere delle immagini del ricordo, e anche – qua e là – qualche svista o dimenticanza. Perché anche quando si ama si può incorrere in piccoli errori. E specialmente quando il tempo ormai ha ricoperto tutto con la sua coltre di nebbia.

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