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Lettera da Roma

VIVA PEPPONE E DON CAMILLO

PAOLO CREMONESI - 29/11/2013

Parlare di Don Camillo e Peppone nel cuore della movida domenicale. È accaduto in un pub di Ponte Milvio per una (coraggiosa) iniziativa del “Centro Culturale” di Roma. Relatori Giorgio Vittadini Presidente della Fondazione Sussidiarietà e Ugo Sposetti, senatore ed ex tesoriere del Partito Democratico: quasi un Don Camillo e un Peppone dei giorni nostri.

Strano destino quello di Guareschi. Lo scrittore italiano più tradotto e letto al mondo è ancora sistematicamente ignorato dalla cultura ‘ufficiale’ del nostro paese, tanto che a stento per esempio se ne trovano brani nelle antologie scolastiche.

Eppure i personaggi di Mondo Piccolo sono intelligentemente reali e hanno da comunicare anche al momento attuale, più che non forse la trasposizione cinematografica su cui, infatti, l’autore di Roncole espresse perplessità.

“Sono uomini e donne” ha detto Vittadini “che partono dal desiderio di verità e di giustizia: da una fede vissuta in modo umano, da un ideale – quello comunista – che cerca di rispondere al bisogno di giustizia”. Non solo il sacerdote e il sindaco dunque ma anche la maestra di scuola elementare, la vedova con dieci figli, il vecchietto che non vuole smettere di lavorare, il fittavolo che trasforma in campo fertile il terreno abbandonato, la ragazza che torna a cercare il buco della siepe dove giocava da bambina, spaccati di un mondo, la Bassa, spesso nascosto dalla nebbia ma ricco di umanità.

Don Camillo, Mondo Piccolo è stato il primo libro che ho letto per intero, su consiglio di mio fratello maggiore. Ed ancora oggi ho il ricordo di quelle pagine fresche e sincere che mi portavano per mano nelle terre del mantovano dove mio padre e mia madre si erano incontrati in tempo di guerra. “Girando per le feste dell’Unità – ha raccontato Sposetti – mi imbatto in giovani, proprio come voi, che mi chiedono di Guareschi e di una Italia che all’apparenza sembra non esserci più ma che gratta gratta vive ancora vivace nella provincia”.

Ma cosa sta al fondo del comune sentire tra Peppone e Don Camillo? “La voce della coscienza -risponde senza esitazione Vittadini – che nei romanzi è la voce del Cristo: risposta oggettiva e universale alla domanda insita in ogni uomo di felicità”. Un ‘humus’ che permette ai due di privilegiare la salvezza delle mucche da mungere durante lo sciopero dei contadini, o di trovarsi uniti contro il funzionario di partito che semina odio nel paese ma anche contro il pretino cattocomunista che riduce Cristo a ideologia.

Proprio in questi giorni Gianrico Tedeschi, novantatre anni, è in scena alla sala Umberto con ‘Farà giorno’: un testo sugli anni di lager trascorsi tra il ’43 ed il’45 in Polonia e Germania. Compagno di sventura di Guareschi che raccontò la drammatica esperienza in ‘Diario clandestino’ e ‘Ritorno alla base,’ con lui mise in piedi Radio90’, un varietà di sketch e canzoni che portavano in giro nei capannoni per tener alto il morale dei compagni di prigionia. “Una persona intelligentissima – racconta Tedeschi – che proprio in quei lager coniò quel detto che ha aiutato tanti di noi a farcela: non muoio neanche se mi ammazzano”.

Uno dei mille aspetti del grande scrittore che “nel suo vocabolario ha sì e no duecento parole” e che in una giornata trascorsa nell’estate del 2008 a Sydney, Giuliano Montagna, il figlio nato da una relazione giovanile di Guareschi ed emigrato in Australia, mi ha raccontato in lungo e in largo. Ma di questo magari ne parliamo un’altra volta.

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