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Lettera da Roma

IN TERRA SANTA

PAOLO CREMONESI - 24/07/2015

La basilica della Natività a Betlemme

La basilica della Natività a Betlemme

Di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa mi ha molto rattristato ascoltare dalla viva voce dei cristiani in loco come quest’anno sia drasticamente diminuito il numero degli italiani che raggiungono Nazareth, Betlemme, Gerusalemme per conoscere e pregare sui luoghi dove è vissuto Gesù.

Non sembra essere innanzitutto una questione economica, quanto piuttosto una paura generalizzata per quanto accade in Medio Oriente. “Pochi giorni dopo l’attentato di Tunisi – mi racconta padre Renato, francescano di Assisi che da quarant’anni accompagna i pellegrini – un grosso gruppo di una diocesi del nord ha cancellato immediatamente il viaggio programmato da settimane”.

Anche se l’onda emotiva può essere comprensibile, occorrerebbe riflettere sulle ripercussioni di queste decisioni. Dopo dieci giorni in cui ho attraversato Israele da Nord a Sud posso testimoniare che i pellegrinaggi in Terra Santa sono sicuri. Sia perché le mete scelte sono riconosciute un valore da tutte le religioni monoteiste, sia perché più pragmaticamente Israele ha tutto l’interesse a che uno dei suoi più importanti introiti non venga a mancare.

Ho visto perciò nella grotta di Nazareth o per le strade di Gerusalemme molti stranieri: americani, spagnoli, polacchi, persino giapponesi. Solo dall’Italia un paio di gruppi.

C’è poi una seconda ripercussione nel calo dei pellegrini in Terra Santa. In questo modo viene meno quel sostegno economico ma anche spirituale chiesto più volte da Papa Francesco e così importante per chi vive in questo momento storico in Medio Oriente.

“Nel 1948 anno di nascita dello stato israeliano – spiega fratel Artemio Vitores Gonzales vicario della custodia di Terra Santa sino al 2013 – i cristiani erano il 19,4 per cento della popolazione. Oggi sono l’1,4 per cento. A Betlemme nel 1967 raggiungevano il 60 per cento. Oggi sono il 12. Chi può scappa”.

La Diocesi patriarcale di Gerusalemme e la Custodia francescana fanno quel poco che possono per fermare l’emorragia. Sostengono i seminari e le scuole cattoliche dove per altro studiano anche arabi e israeliani, affittano a prezzi calmierati appartamenti alle giovani famiglie, finanziano la “Bethlehem University” per aiutare a formare una nuova classe dirigente: quanto è importante per loro sentire di non essere soli.

Israele è la terra dove Gesù è vissuto: la storicità della Sua vita su cui si fonda tutta la nostra umana avventura di uomini e cristiani trova qui assoluta conferma, la possibilità di imparare la familiarità di Gesù e di parteciparvi. Ecco il grande dono della Terra Santa a ciascuno di noi.

Tutte le chiese sarebbero terribilmente impoverite se i discepoli di Gesù non fossero più lì a ricordarci che Egli ha vissuto davvero sulla terra, che ha camminato su quelle pietre, che ha visto il verde della Galilea e i deserti della Giudea, lago di Tiberiade, la strada verso l’Egitto. Proprio gli stessi luoghi che ho visitato per dieci giorni insieme ai frati francescani. Chi può vada in Terra Santa! Ne tornerà cambiato.

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