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Attualità

I SURPLUS DELL’AGRICOLTURA

LIVIO GHIRINGHELLI - 28/02/2014

Dal l maggio al 31 ottobre del prossimo anno, in occasione dell’Expo 2015, si terrà una rassegna dal titolo “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Vi si parlerà di un paradosso che continua a stupire per l’evidente incongruenza che affligge l’agricoltura mondiale: essa produce un eccesso, un surplus di cibo, che va in notevole misura sprecato (1,3 miliardi di tonnellate all’anno, un terzo della produzione destinata al consumo umano), per non dire di quello finalizzato alla sovralimentazione, che determina patologie preoccupanti nei paesi cosiddetti sviluppati: di contro 842 milioni di persone all’anno risultano denutrite e oltre 2 milioni di bambini muoiono per fame.

Questo in offesa alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (art. 25) e alla Dichiarazione del millennio (2000), che sanciscono il diritto universale al cibo e alla libertà dalla fame. I dati dell’OMS riferiti al 2013 ci parlano di 1,4 miliardi di adulti in soprappeso e di 500 milioni di obesi. Ne conseguono diabete, disturbi cardiovascolari, ischemie…, mentre vanno instaurati stili di vita più sani. Sono i frutti di un sistema perverso e distorto di commercio, consumo e pubblicità. Ogni cibo è considerato per il suo prezzo e non per il suo valore, in ispregio del valore culturale; giocano un ruolo fondamentale le oscillazioni dei prezzi indotte dalle speculazioni incontrollate, a prescindere dalle dinamiche della produzione. Il 54% degli sprechi si consuma a monte (produzione, raccolta e stoccaggio degli alimenti), mentre il 46% si constata a valle ( trasformazione, distribuzione, consumo).

C’è addirittura un interesse commerciale a non scoraggiare lo spreco. E non si vuole qui prendere in esame il problema della quantità esagerata dei rifiuti da smaltire, della richiesta abnorme di acqua, energia, fertilizzanti, fitofarmaci, che la filiera agricola comporta.

La nostra agricoltura ha conosciuto sviluppi impensati dal tempo della nascita della Coldiretti (1944); nel 1948 sotto l’egida della DC militavano 25 deputati sotto la guida di Paolo Bonomi. La riforma agraria, l’arrivo della mutua e dei primi assegni familiari caratterizzavano quei momenti. Oggi purtroppo in Italia con la crisi si constata un calo dei consumi e dei carburanti, mentre i cambiamenti climatici risultano piuttosto avversi e calamitosi. Comunque il valore dell’export si configura ancora a due cifre, crescono gli occupati (+ 10%), c’è un certo ritorno dei giovani, ci si attesta come primi al mondo per valore aggiunto per ettaro; peraltro la stragrande maggioranza delle aziende è di carattere familiare, con il coinvolgimento di tutti i soggetti; si tende sempre più a valorizzare il mercato a km zero, secondo la logica che un certo prodotto corrisponde a una certa cultura e seguendo i dettami della sicurezza alimentare.

La nuova agricoltura non solo produce, ma va verso il consumatore, offre servizi e si apre al territorio. Si caratterizza maggiormente dal lato sociale. Purtroppo si verifica al contempo dal 2007 ad oggi la chiusura di 140.000 stalle ed aziende agricole.

Tra i problemi urgenti da risolvere quelli di un’organizzazione del tessuto produttivo arretrata e frammentata, l’accesso al credito quasi impossibile (scomparsa del credito agrario) e una dipendenza accentuata dagli aiuti PAC (comunitari), intesi a garantire un minimo di remunerazione ai produttori. Il trasferimento alle Regioni delle competenze sull’agricoltura ha creato inconvenienti burocratici di rilievo e venti sistemi diversi.

Difficile individuare la possibilità di investire in ricerca per i piccoli produttori. Gli acquirenti esigono standard qualitativi omogenei e continuità nella fornitura. Si aggiungano il costo della terra e degli affitti, il depauperamento del suolo, per cui si dipende sempre più dai prodotti chimici che lo rendano fertile. Il tasso di sostanza organica nella pianura padana è in media appena dell’1,6 % . Il terreno e gli agenti patogeni si sono assuefatti, per cui l’impiego della chimica in agricoltura si è fatto sempre più pesante; una via di scampo ci sarebbe: reimpostare le filiere agroalimentari secondo i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica. Anche qui è necessaria un’efficace politica di sostegno e di protezione da una concorrenza senza regole.

Non tutte le tinte però sono fosche; molti sono i prodotti di eccellenza; la diversa geografia da Nord a Sud favorisce la caratterizzazione locale dei prodotti tipici e la biodiversità contro la standardizzazione di coltivazioni e gusti. Grandi consorzi ci fanno leader in Europa nella produzione delle mele, il miele resiste alla crisi nonostante la concorrenza sleale della Cina, ma l’acquisto delle arance in altri stati mediterranei da parte della grande distribuzione umilia le nostre coltivazioni disperse tra 126.000 aziende; la polverizzazione delle 13.000 cooperative di pescatori ci rende privi di potere contrattuale e la produzione dei pomodori è crollata del 30%.

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