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Cultura

LE TRE RELIGIONI DEL LIBRO

LIVIO GHIRINGHELLI - 28/03/2014

Il concetto di monoteismo introdotto da Israele nella storia non è frutto di una riflessione razionale, bensì deriva dal rapporto di interscambio sperimentato e maturato nella sua storia con l’unico Dio. È un processo di autorivelazione di Dio e di riconoscimento della sua gloria da parte di Israele. Quattro consonanti lo esprimono (tetragramma (JHWH) nel testo dello Shemà Israel (Dt 6,4: Ascolta, Israele. Egli è il nostro Dio. Egli è uno solo). Si professano unità e unicità di Dio e sempre permane un timore reverenziale nel pronunciare questo tetragramma. E Dio si fa coinvolgere nel destino del suo popolo. La testimonianza dell’unità di Dio deve rispecchiarsi nella santificazione dell’esistenza umana (Es 19,6). Perché vale l’imperativo: Tu amerai il Signore Iddio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt 6,5). È un precetto di incondizionatezza.

Il Cristianesimo invece ha come suo credo centrale la fede in un Dio uno e trino. Questa è la verità fondamentale che riunisce le molte comunità cristiane sia nel momento del battesimo, che nella preghiera di lode (Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo). L’unico Dio in Gesù Cristo ha dimostrato di donare se stesso, essendo immediatamente vicino agli uomini sino alla notte della passione e alla morte e nello Spirito Santo assiste perennemente il suo popolo. Si tratta di tre persone e non di tre forme fenomeniche dell’unico Dio (modalismo). L’unico Dio è poi trino in se stesso e non solo nella sua azione: il Logos eterno e lo Spirito eterno sono della stessa natura del padre, consustanziali (v. il Simbolo niceno-costantinopolitano). Lo Spirito Santo procede dal Padre e viene adorato e glorificato con il Padre e con il Figlio. Con il concilio di Calcedonia (451) si proclama che Cristo è veramente Dio e veramente uomo. Le due nature in lui coesistono senza confondersi, immutabili, inseparate, indivise.

Nel Nuovo Testamento l’appellativo di Padre ricorre con maggiore frequenza che nell’Antico e nell’Islam (170 volte Gesù parla di Dio come del Padre, quando gli si rivolge in preghiera (la più importante è il Pater Noster).

La fede trinitaria non intese mai compromettere l’unicità di Dio, che lega Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo. Tommaso lo definisce causa prima, atto puro, ipsum esse; al suo intellettualismo si contrappone il volontarismo di Duns Scoto (Dio è intelligibile come volontà onnipotente e la sua potenza assoluta diviene esperibile come amore.

Allah non può essere colto da alcun tipo di speculazione filosofica. È unico nella sua essenza, onnipotente; non generato e non mortale, regna di eternità in eternità. Infinitamente perfetto, non lo possono cogliere né l’occhio, né la mente; senza limiti è la sua misericordia. Nel Corano ricorrono 99 bei Nomi di Dio, che sono propriamente le sue qualità. Agisce secondo il principio della giustizia. La concezione ferreamente monoteistica rifiuta il concetto di Trinità, il dualismo e il politeismo. Le leggi divine sono immutabili. L’Islam accoglie la dottrina della predestinazione, ma l’impianto del pensiero è per sua natura ottimistico. Uno dei nomi più belli di Dio è la Verità. L’Islam non è scaturito dalla storia di un’alleanza con Dio, come per l’AT.

Quanto alla figura di Gesù scarsi sono i passi della letteratura rabbinica, che lo menzionano o alludono a lui. La sua comparsa e quella dei suoi discepoli non provocò maggiore interesse di quella di molte altre sette nel periodo politicamente inquieto degli erodiani. Recentemente J.K. Klausner rileva comunque nella dottrina di Gesù il marchio dell’ebraismo profetico e farisaico. David Flusser inserisce la sua figura senza suture nel suo ambiente ebraico.

Per l’Islam la sua dimensione è umana, pur distinguendosi per la nascita inconsueta dagli altri profeti. Gli scribi islamici non si sono mai occupati seriamente della cristologia e Muhammad personalmente non tiene in grande considerazione i miracoli. Al-Gazahli (morto nel 1111) confuta la sua divinità.

Mentre gli storici ebrei e romani del tempo lo menzionano solo incidentalmente, per Gesù l’annuncio del Regno di Dio contrassegnato dall’amore e dalla salvezza escatologica per tutti gli uomini è già in atto ed è un messaggio che si prende cura anche dei peccatori. La sua morte vicaria e redenzione per la salvezza degli uomini (avvenuta secondo il calcolo astronomico il 7 aprile del 30 d.C.), irrogata in quanto ritenuto dai Romani aspirante al ruolo di Messia (Rex Iudaeorum), lo vede obbediente al Padre sino all’estremo sacrificio e alla morte in croce (Fil 2,8). Qui nasce la nuova alleanza tra Dio e tutti gli uomini e colla Resurrezione il trionfo della vita.

 

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