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Editoriale

COMUNISMI

don ERNESTO MANDELLI - 11/04/2014

Papa Benedetto XVI incontra Fidel Castro nel 2012

Sembrerebbe solo una battuta uscita spontaneamente da Papa Francesco in un incontro familiare con un gruppo di giovani, ai quali il Papa ricorda di essere venuto a conoscenza delle preoccupazioni di alcuni cristiani: “Con questo parlare dei poveri, il Papa è un comunista”. Eppure questa è una di quelle affermazioni capaci di eliminare tante confusioni che si sono addensate sulla comprensione del vangelo in merito ai temi della giustizia sociale, uguaglianza, solidarietà con i poveri.

Anche Helder Camara (1909-1999), vescovo di Recife in Brasile, diceva: “Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché ci sono i poveri, allora tutti mi chiamano comunista”.

Lo stesso è capitato e capita ancora dalle nostre parti: se un’omelia mette in crisi le coscienze, perché tocca i temi della ingiustizia e della povertà, è facile sentire il rimprovero “lei deve spiegare il Vangelo, non fare politica”. Sono preferibili discorsi elevati che lasciano tranquilli e dormienti. È uno di quegli ambiti nei quali si realizza la rottura tra la fede e la vita lamentata dal Concilio Vaticano II. È come se il Vangelo fosse una riserva per discussioni accademiche in ambienti culturali, oppure lettura consolatoria per gruppi di vita spirituale intimistica; e non invece parola concreta calata nella storia degli uomini per indicare la vita nuova nella fraternità e quindi la condivisione con chi è meno fortunato, come è stata la vita di Gesù.

Ma per meravigliarci ancor di più per questa consuetudine a emarginare e demonizzare chi cerca di mettere in discussione l’ordine stabilito, perché ritenuto ingiusto, basta leggere il Vangelo di Giovanni (8,48). Nella polemica durissima con Gesù i Giudei arrivano a chiamarlo prima “samaritano” quindi eretico, e poi “indemoniato”, quindi nemico di Dio.

In Italia veniamo da una storia di dura contrapposizione politica. Nel 1948 la Chiesa arrivò a scomunicare chi professava la ideologia comunista e militava in partiti legati a questa ispirazione. Si temeva che il comunismo si affermasse anche in Italia, dove esisteva il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. A portare chiarimenti importanti è arrivata nel 1963 la lettera enciclica “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII: Va tenuto presente che non si possono identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione… Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” (n.159).

Oggi in Italia si rifanno al comunismo, in quanto dottrina filosofica, solo piccoli gruppi elitari. Sta di fatto però che la parola ‘comunista’ in questi ultimi decenni è stata riesumata e sfruttata in occasione delle tornate elettorali per demonizzare gli avversari politici, identificandoli come antidemocratici e antilibertari.

Certamente fa specie sapere che dei cristiani diano del ‘comunista’ a Papa Francesco. C’è da chiedersi quale è la loro comprensione del Vangelo. Si impongono almeno due considerazioni. Anzitutto ci troviamo di fronte alla difesa dello status quo: non si deve mettere in discussione l’assetto sociale, i livelli di benessere raggiunti da certe classi sociali, i loro privilegi. Certamente i poveri vanno aiutati e già lo si fa con iniziative benefiche, le mense di carità e altro ancora; però non si parli di ingiustizie, di sperequazione sociale, di sfruttamento. Conseguentemente la fede è ridotta quasi esclusivamente a culto; non mancano le elemosine ai poveri, ma questi non fanno parte della comunità cristiana, stanno ai margini, non sono ascoltati, a loro si danno solo le briciole.

L’affermazione di Papa Francesco: “I poveri sono il cuore del Vangelo” è ampiamente sviluppata nella esortazione “La gioia del Vangelo” al paragrafo ‘Inclusione sociale dei poveri’. Ne leggiamo alcuni passaggi:

“Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società” (187).

“La fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco”(191 citazione dai Vescovi del Brasile 1984).

“Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica, prima che culturale, sociologica, politica o filosofica… Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198).

“Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri… non si risolveranno i problemi del mondo” (202).

Questa è il compito della Chiesa e la risposta al dramma della povertà di milioni di persone secondo Papa Francesco, fatta alla luce del Vangelo. Si apre certamente una fase storica importante e provvidenziale. I cristiani, le famiglie cristiane, le comunità cristiane sapranno camminare su questa strada?

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