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Chiesa

GLI FU MESSO NOME GESÙ

MASSIMO CRESPI - 24/12/2011

 

In quel tempo. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. (Luca 2, 18-21)

 

Perché mai l’angelo del Signore si era presentato ad alcuni pastori per annunciare la “grande gioia” che doveva essere “di tutto il popolo” (Lc 2, 10), la nascita del Salvatore Gesù, dicendo: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12)? Senza dubbio l’angelo, messaggero divino, vuole che siano proprio questi pastori di greggi i primi a trovare il bambino, riconoscendolo Dio; loro, non altri. Questi lo lodano, lo glorificano nello stesso modo della “moltitudine dell’esercito celeste” che era apparsa poco prima, dicendo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 13-14). Queste guide di bestiame “vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2, 8), esattamente come le schiere del cielo, le quali custodiscono le persone nei momenti bui dell’esistenza terrena. Ad elevare dei semplici guardiani di pecore e portarli in alto, verso l’identico modo di sentire celeste, è la luce ricevuta dal Signore, per cui gli occhi vedono chiaramente ciò che risulta nascosto o misterioso per tutti coloro che sono ottenebrati dall’oscurità dello spirito. Occorre che Dio ci aiuti perché non si brancoli nell’oscurità, ma si colga la verità celata allo sguardo limitato del mondo; occorre la manifestazione del Signore. Eccola a Betlemme!

Ma per quale motivo sono stati scelti dei pastori per l’annuncio del Natale, e non degli agricoltori, degli artigiani, dei commercianti, dei sacerdoti, perché fossero primi davanti alla mangiatoia del Presepe?

La risposta, come sempre, è nel Vangelo. Rileggiamo. Luca afferma: “alcuni pastori” (Lc 2, 8 ) vegliavano di notte; pertanto non è la loro categoria ad essere prescelta da Dio per l’eccezionale notizia del bambino divino, piuttosto la disposizione di qualcuno fra loro che si metteva di guardia notturna. Al Signore piace questa attitudine del lavoro di chi veglia la notte, senza potersi distrarre. Vigilare nel buio notturno fa paura, a tutti; ci si porta al limite della possibilità che capiti l’intrusione di qualcuno che si deve bloccare, fronteggiare. Ci si spinge nel luogo dove è probabile che si verifichi la rapina, l’intrusione, l’assalto di chi vuole farci male; ci si muove nello spazio dove è facile che si inciampi, si cada a terra, perché non si vede niente e dove si rischia grosso. Vigilare nel buio notturno fa soffrire per il freddo, fa tremare e balbettare, e fa stare soli. In un certo senso, vigilare è scegliere di proteggere tutti, tranne se stessi. Il Signore premia questo coraggio, l’altruismo di chi per tutti sorveglia dove è impossibile scrutare e controllare perfettamente, visitando l’uomo per dargli occhi nuovi, capaci di penetrare le tenebre più fitte. È quasi come se vegliare vigilando fosse premessa all’appuntamento col divino, la base sulla quale cominciare la relazione col sopranaturale, tanto ricercata da Dio. La notte risulta la raffigurazione della dimensione dove si trova la forza di incontrare Dio che per primo veglia, assieme a noi, sul confine che sta tra la fine delle cose e l’alba radiosa della vita senza fine.

Ecco, l’atteggiamento giusto per la contemplazione del Presepe è quello dell’uomo vigilante, coraggioso, generoso, dell’uomo che “senz’indugio” (Lc 2, 16) sa andare verso Gesù, persino quando rischia la vita; dell’uomo che non chiude gli occhi, ma va dove è più buio per vedere prima, presto, bene, la luce che sorge e rischiara la notte.

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