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Attualità

STORIA DI UN ABETE

DANIELE ZANZI - 24/12/2011

 

A Natale è proprio impossibile per i varesini non notarlo, così infiocchettato, addobbato e luccicante. Anzi, è solo in questo periodo frenetico di feste e di impegni mondani che l’abete di piazza Monte Grappa esce dall’anonimato cui è relegato, al pari delle panchine e dei lampioni durante tutto il resto dell’anno.

L’abete della piazza principale della città è stato al centro negli ultimi mesi delle discussioni dei varesini. A sollevare, inconsapevolmente, la questione sulla sua congruità nella piazza è stato proprio, ahimè, il sottoscritto con un intervento lo scorso anno a un Convegno pubblico: all’interno di un discorso molto più articolato, ne avevo proposto lo spostamento. Mai e poi mai avrei pensato di sollevare un tale vespaio di polemiche. L’argomento, non meritevole di per sé di tanta attenzione, visti i problemi che attanagliano oggi la nostra città, ha appassionato, e non poco, i nostri concittadini e anche parte dei politici locali, tanto che hanno pensato opportuno convocare, lo scorso novembre, sulla questione una riunione della commissione comunale per la tutela ambientale, scatenando in molti il sacrosanto dubbio: “Ma non avevano niente di meglio di cui discutere?” .

Articoli sui quotidiani locali, lettere al direttore, siti web intasati dai sondaggi: insomma l’abete della piazza si è trovato, suo malgrado, al centro di discussioni, litigi, partigianerie; tutti a parlarne, a prenderne le difese o a sentenziare condanne a morte.

Debbo confessare che la querelle non mi ha appassionato e non mi appassiona più di tanto; darle sì la giusta attenzione, ma senza esagerazioni e spreco di tempo e parole. Qualcuno ritiene che la pianta sia stata sempre lì e vuole che lì rimanga perché fa parte del paesaggio: una presenza tranquilla e rassicurante. Di fatto fu messa a dimora nella piazza solo vent’anni fa. Altri non vogliono rimuoverla perché gli alberi non si abbattono; punto e basta. Opinione rispettabilissima che da un lato – ecco la buona notizia – denota che, per fortuna, c’è ancora chi ama gli alberi; dall’altro – ecco la cattiva notizia – evidenzia che l’emotività e il sentimento prevalgono sulla tecnica e sulle competenze. Qualcun altro ritiene che l’albero vada salvato, perché il Comune ne ha già abbattuti troppi: vero! Chi semina vento non può che raccogliere tempeste… E diffidenza da parte dei cittadini!

I favorevoli alla rimozione prendono a pretesto che l’albero sia brutto e antiestetico; in effetti non si tratta certo di un campione assoluto con quella sua chioma rada, disarmonica e sbilanciata che, tra l’altro, mal si presta ad un addobbo natalizio decente. Ma se questa fosse la logica dietro una soppressione, che ne facciamo delle centinaia di migliaia di alberi brutti radicati sulla Terra! Li abbattiamo tutti? Mi sembra una logica che sa un po’ di “razzismo botanico”.

“L’albero va abbattuto perché ammalorato”: sentenziano gli esperti e si ricorda l’attacco di pidocchi che l’abete ebbe nel 2008 e provocò, qua e là, alcuni disseccamenti della chioma. Ci si dimentica che sulla salute di un albero i pidocchi – gli afidi – hanno la valenza di un foruncolo sulla pelle di un diciottenne: antiestetici certo, ma non letali, specie dopo un bagordo; normali e ininfluenti sulla vitalità di una pianta anche i pidocchi, specie se il clima è stato caldo e umido.

“L’albero va abbattuto perché pende, ha poche radici (ndr, ma chi lo ha poi verificato?) e quindi è pericoloso…” sentenziano novelle Cassandre, paventando pubblici pericoli e crolli improvvisi su auto e cittadini. Terrorismo psicologico, privo di ogni fondamento reale scientifico: l’abete è ben saldo e ancorato! Non crollerà!

Da sempre ho sostenuto che quest’abete – un Abies nordmanniana il suo nome scientifico, abete del Caucaso quello comune – non avrebbe mai dovuto essere collocato lì; lo dissi, lo scrissi e lo consigliai – e con me anche la Ccia – nel 1991 quando fu piantato all’interno di un progetto senza capo né coda che prevedeva anche l’inserimento agli angoli della Piazza di quattro orrendi vasconi in cemento in cui furono messi ad intristire dei faggi – poveretti! –, fortunatamente rimossi dopo pochi anni. Lo sostenni semplicemente perché l’abete non c’entrava nulla e non c’entra nulla oggi con il disegno architettonico della piazza. In fondo piazza Monte Grappa è l’unica piazza in Varese con un suo rigore e con un suo disegno preciso e riconoscibile. Discutibile, brutto per molti che a fatica separano l’architettura dalla politica; ma tale è e come tale va rispettato e magari valorizzato.

Questa motivazione può sembrare incomprensibile per qualcuno, ma non lo è per me e per molti altri che danno al verde nelle nostre città, oltre che un importanza tecnica e ambientale, anche e soprattutto una valenza culturale. Come esistono manufatti edili impropri – e l’Italia ne è piena – così esistono alberi impropri a un disegno architettonico e come tali è meglio eliminarli. Il termine non significa necessariamente l’abbattimento, che sarebbe di questi tempi un pessimo segnale educativo, ma anche solo lo spostamento.

Il trapianto dell’abete è possibile; certo ci vogliono le dovute preparazioni, la necessaria perizia, ma si può fare. Sicuramente se s’ha da fare, lo si faccia quando sarà presentato un piano di riqualificazione globale della piazza. Perché dunque non lanciare un concorso d’idee tra i tanti professionisti presenti sul territorio, tra i tanti architetti paesaggisti, tra le tante attività del settore florovivaistico di cui Varese è ricca per un progetto di riqualificazione della Piazza che comprenda anche il verde? Ma per carità, in assenza di piani e progetti organici approvati, l’abete non si tocca: c’è il concreto pericolo che, in sua assenza, ci ritroviamo al centro della piazza l’ennesima solita “boiata” – fontana, scultura, aiuoletta – con cui tante piazze varesine sono state nell’ultimo ventennio riempite e rovinate. Molto meglio, per il momento, il nostro incongruo abete addobbato.

Un sereno Santo Natale a tutti i lettori di RMFonline!

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