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Politica

CRISI DELL’ECONOMIA O DI CIVILTÀ?

CAMILLO MASSIMO FIORI - 13/06/2014

La brutalità della crisi del sistema economico-finanziario produce mutazioni culturali e politiche devastanti e coinvolge il concetto stesso di razionalità dell’Occidente. La severità della crisi non risveglia la “società civile” ma provoca ondate anti-solidarizzanti, atteggiamenti populistici e rivendicazioni xenofobe.

Il neo-liberismo, come idea totalizzante, si è imposto in America a partire dagli anni Sessanta e si è diffuso nel mondo a seguito dei processi di globalizzazione resi possibile dai nuovi mezzi elettronici di comunicazione. Al suo centro ci sono le tesi di economisti europei, come Friedrich Hayak, che avevano lasciato l’ Europa per sfuggire all’oppressione nazista ma erano del tutto ignari degli sviluppi del “Welfare State” nel vecchio continente per migliorare il benessere della popolazione e renderla immune del fascino populista esercitato dalle dittature. Da quel nucleo di idee imperniato sulla assoluta libertà dei mercati è nato e si è diffuso il neo-capitalismo con una importante ma deleteria novità: quella di ricercare il profitto non soltanto nella produzione dei beni materiale ma soprattutto di “fare denaro con il denaro”, cioè con la finanziarizzazione dell’economia.

Il nuovo capitalismo ha prodotto mutazioni fondamentali e devastanti: ha moltiplicato la ricchezza concentrandola in poche mani e aumentando a dismisura le condizioni sociali; ha distrutto il ceto medio; ha delocalizzato gli impianti produttivi nei Paesi dove il costo del lavoro è più basso e la tutela dei lavoratori è minima; ha provocato in Occidente una imponente disoccupazione; e soprattutto ha trasformato il lavoro da mezzo dignitoso per vivere in una condizione di perenne precarietà e, infine, ha saccheggiato l’ambiente naturale mettendo a rischio la stessa sostenibilità del pianeta.

Il nocciolo del razionalismo occidentale è costituito da due elementi fondamentali. Il primo è lo Stato moderno basato sulla Costituzione, sulle leggi e sulla amministrazione pubblica; il secondo è l’organizzazione capitalistica della società.

Lo Stato ha però perso la sua capacità di controllo e di guida in un sistema economico sempre più caratterizzato dal capitale finanziario globale che condiziona non solo l’economia ma l’intera società.

La globalizzazione e la crescente finanziarizzazione dell’economia hanno ridimensionato l’idea dell’organizzazione razionale dell’industria orientata dal mercato e non da probabilità speculative. Le convulsioni di un capitalismo finanziario sregolato inficiano definitivamente il mito della sua autosufficienza razionale e il mercato rischia di perdere ogni razionalità senza che i suoi attori se ne rendano conto.

Questo ipercapitalismo globalizzato sfida apertamente il modello di razionalità occidentale.

Razionalità è sinonimo di intelleggibilità del mondo naturale e della vita degli uomini. È il presupposto per la conoscenza e l’interazione con la natura ma anche per la governabilità sociale.

La razionalità crea comportamenti non solo efficienti ma anche eticamente giusti nella forma politica della democrazia.

Che cosa resta dell’idea di una “società civile globale” portatrice di una nuova civiltà, di cui l’Europa era il modello?

La società occidentale viene oggi colta impreparata, bruscamente risvegliata dal sogno di un benessere crescente e irreversibile che era il simbolo della società moderna, da una situazione patologicamente irrazionale che sembra annunciare una crisi di civiltà. Era pacifico che il razionalismo occidentale coincidesse con la modernità, ma oggi, nella società postmoderna, non è più così.

L’Occidente mostra una profonda capacità analitica e critica ma ad essa non corrisponde una coerente capacità di orientamento e la politica è ridotta alla gestione dell’esistente: non usa le risorse culturali che pure possiede in notevole misura.

Oggi è in gioco il senso di un’intera civiltà; la crisi economica è diventata una crisi di civiltà.

 

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