Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Editoriale

AUTOGOL

MASSIMO LODI - 26/06/2014

L’Italia che esce dai mondiali ci toglie una speranza. E questo è il peggio. Tutto va al rovescio, confidavamo che qualcosa tirasse dritto. Macché. Butta male pure nel calcio. Non che si debba  menare il solito torrone del simbolismo, la squadra nazionale specchio del Paese. Però, ecco, non pare né azzardato né retorico né banale dire che un ennesimo pezzo di Paese è andato alla malora. La delusione viene da qui.

Pensiamo: ma come, il calcio è un’industria avanzata, costa un occhio della testa, vi s’impegnano centinaia di migliaia di praticanti, lo rappresentano club dalla storia antica e nobile, costituisce uno dei nostri fiori all’occhiello, e si presenta alla massima competizione planetaria ridotto nelle condizioni indecenti che abbiamo visto? Ma in che modo lo si governa, il calcio; e informandosi a quali strategie; e scegliendo gli uomini giusti al posto giusto in base a che criteri? Se la mettiamo così – e non possiamo che metterla così – bisogna parlare d’un fallimento non solo sportivo, e invece imprenditoriale, strutturale, istituzionale. Senza esagerare, convenìtene: semplicemente guardando le cose con realismo.

Del resto, che il calcio fosse (sia) in crisi come lo sono tanti altri settori era (è) evidente da infiniti segnali: i vivai delle società che non vengono curati con adeguatezza, i soldi spesi a milionate per comprare all’estero giocatori che impediscono ai nostri d’emergere, gli stadi vecchi sporchi vuoti (media di spettatori in serie A nell’ultima stagione: ventiduemila a partita), una cultura della violenza largamente diffusa, la prevenzione che funziona male, l’impoltrimento d’un possibile grande pubblico, restio a muoversi dal salotto di casa per salire sull’impervia gradinata a causa delle ragioni appena accennate.

Tutto questo si conosce da tempo. Nulla d’efficace è accaduto per ovviarvi. Salvo l’eccezione della Juventus – dotatasi di stadio di proprietà con museo, centro commerciale, e prossimamente cinema e albergo – le altre più titolate società hanno dormito. La Federcalcio è sprofondata nell’atarassia. Lo Stato vede e tace. Eppure il calcio non è qualcosa di secondario, è una roba importante. All’estero fa immagine, e che immagine, per l’Italia. Come la Ferrari, i capolavori d’arte, le eccellenze della musica, i fuoriclasse della cucina, eccetera. L’eliminazione penosa e squallida, con tocchi di sorprendente cattivo gusto nelle dichiarazioni del dimissionario citì Prandelli e del dimissionabile mangiapalloni Balotelli, reca un danno grave all’idea che di noi si sono fatti nel mondo: ci collocavano tra i maestri dell’insegnamento pedatorio, e siamo finiti tra gli allievi con le orecchie d’asino. In ultima fila, svogliati, presuntuosi, vuoti di genio, pieni di tatuaggi, ricchi di presunzione, poveri d’umiltà.

Una memorabile figuraccia, dalla quale non sarà semplice riaversi. Senza presidente federale, senza allenatore, senza strategie: si ricomincia da qui. Tutti d’accordo sulla rifondazione, però nessuno capace d’indicare come applicarvisi. Il dramma non è aver perduto: è ignorare il modo per tornare a vincere.

Un po’ come nella politica: dàgli ai rottamati, che tanti danni han procurato. Ma i rottamatori dispongono d’un progetto e degli strumenti per attuarlo o sono solo disposti a prefigurare vagamente un contenitore senza possederne il contenuto?

Non ci resta che sperare – più che in Mancini/Allegri/Spalletti o in chissaquale commissario straordinario della Figc – nelle parole di Albert Einstein, uno che avrebbe potuto benissimo fare il responsabile tecnico del football, oltre che lo scienziato: “La teoria è quando si sa tutto e non funziona niente. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché”. Privi di nozioni teoriche, confidiamo nel nostro abborracciato senso pratico.

 

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login