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Spettacoli

GLI ANNI DI RINGO

MANIGLIO BOTTI - 25/07/2014

Giuliano Gemma nei panni di Ringo

Il nome di Ringo, per le generazioni del boom, può essere forse paragonato a quello di Tom Mix per chi era ragazzino o giovane prima della seconda guerra mondiale: il sinonimo di un eroe del West americano, un cowboy-pistolero dal quale era meglio guardarsi se non si volevano correre guai; insomma – per rimanere tra fantasia e realtà – un Tex Willer delle origini, prima che grazie a Gian Luigi Bonelli e al disegnatore Aurelio Galleppini il personaggio dei fumetti diventasse il più famoso dei ranger del Texas.

Ringo – probabilmente una derivazione di Gringo – già in auge in tempi lontani come protagonista di Caroselli, è tornato oggi alla ribalta e fa sempre pubblicità alla stessa marca di carne in scatola. La carne resiste alla crisi.

Negli anni Sessanta – i nostri anni – Ringo fu famoso anche perché era il nome del batterista dei Beatles, Ringo Starr, che in realtà si chiamava – si chiama – Richard, il baronetto Richard Parkin Stanley. Ma da noi – sempre scorrazzando nel Far West – Ringo assurse a gloria imperitura grazie alle interpretazioni di Giuliano Gemma in due film in sequenza di Duccio Tessari del 1965: “Una pistola per Ringo” e “Il ritorno di Ringo”. A torto, in quegli anni in cui Sergio Leone ci stava abituando alle sue esplorazioni sul significato del dollaro (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più), Gemma venne considerato un attore di seconda fascia, almeno per quanto riguarda il Western, il “vero” e più genuino personaggio del genere western-spaghetti.

In realtà Giuliano Gemma – che ci ha lasciati lo scorso autunno all’età di settantacinque anni a seguito di un incidente della strada – fu un attore a tutto tondo, specialista in film mitologici (Maciste, l’eroe più grande del mondo; Ercole contro i figli del sole; Erik il vichingo…) ma anche un Signor Attore: splendida l’interpretazione del maggiore Matis nel film di Valerio Zurlini ripreso dal romanzo di Buzzati “Il deserto dei tartari” (1976). Dalla sua Gemma aveva anche tatto e discrezione, qualità non sempre riscontrabili in un attore propenso all’esposizione mediatica, dedicandosi con competenza ad altri rami dell’arte, per esempio la scultura in bronzo; e nonostante avesse recitato fino all’ultimo aveva tenuto diverse mostre e raccolto un discreto successo.

Il “marchio” del giovane pistolero Ringo, tuttavia, gli restò sempre appiccicato. E si faceva fatica a non guardare a lui, alle sue performance atletiche (era stato uno stuntman), ai suoi colpi di mano e di pistola: Ringo era Giuliano Gemma e viceversa. Un eroe amato e celebrato.

E non è un caso che un altro pop-eroe, Adriano Celentano, almeno in quella metà degli anni Sessanta quando il “vero” Ringo imperversava sugli schermi, avesse pensato proprio a Gemma nel diffondere una canzone – ballata – tiritera famosissima: “Ringo”, appunto.

Negli anni a seguire Celentano si sarebbe imposto anche come maitre à penser, una specie di filosofo – guru – ecologista più televisivo che di studio e di concetti. Del resto, lo scherzo, la presa in giro avevano sempre fatto parte del suo patrimonio di cantante.

Ecco alcuni versi di Ringo che, ogni tanto, prima di dare fondo a più impegnate elucubrazioni bisognerebbe leggere e riascoltare: “Colpito a piombo nella schiena / lo vidi steso nel deserto / che respirava come un morto / scattò brillando la mia lama / e la pallottola levai / e la sporca vita gli salvai / a quel Ringo (coro: Ringooo! Ringooo!)”; interessante e profonda anche la seconda strofa, indice forse di intense letture fumettistiche e di appassionati spettacoli oratoriani, la domenica pomeriggio, quando non c’era “neanche un prete per chiacchierar”: “Per tanto tempo l’ho curato / finché un giorno mosse un dito / e lo infilò nella pistolaccia / e a cento metri / ti coglieva persino una acino di uvaccia / così capii / che era guarito / quel dito… “. E via così: “Ringooo! Ringooo!”.

 

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