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Attualità

UNITÀ POLITICA DEI CATTOLICI

LIVIO GHIRINGHELLI - 19/09/2014

Se è facile constatare che dal secondo dopoguerra, ma specialmente negli ultimi vent’anni, l’Italia si è viepiù secolarizzata, è altrettanto facile avvertire che i suoi abitanti non si possono ritenere fuori dalla sfera di influenza del Cattolicesimo.
Complessi e meno felici sono i rapporti di questo con il mondo della cultura e con il costume dominante. Per quanto concerne la politica i credenti impegnati, sensibili, risultano senz’altro una minoranza, il che però non può significare che debbano recitare solo un ruolo marginale, passivo, bensì devono assumere un atteggiamento più creativo nelle scelte delle soluzioni dei problemi attuali. È opportuno, anzi necessario, che siano una minoranza propositiva, non catacombale, con la pazienza dei tempi lunghi, abbandonando l’idea di un’unità politica anacronistica e giudicata come superata da larga parte delle stesse gerarchie.
Dal 1870 al 1943 i cattolici sono rimasti sostanzialmente assenti e rinunciatari dalla scena politica, ove si escluda il breve periodo intercorrente tra la fine del primo conflitto mondiale e il pieno instaurarsi del regime fascista. Interessante invece e convincente è stato il loro impegno nella vita sociale (cooperative, società di mutuo soccorso, casse rurali, sensibilità ai conflitti di classe) e particolarmente a livello amministrativo locale. Poi anche ispirato dal Codice di Camaldoli c’è stato l’intervento diretto e preponderante della DC, con il suo forte protagonismo sino all’involuzione e al crollo del sistema nel 1992. Costante e condizionante il sostegno delle gerarchie, dichiarato il loro appoggio. Notevoli anche i meriti acquisiti (Resistenza, Costituzione della Repubblica, miracolo economico e varie riforme, scelta delle prospettive di libertà, di fronte ai pericoli dell’autoritarismo) in una visione per lo più moderata dei fenomeni
Ora la presenza dei cattolici osservanti si distribuisce su tutti i fronti della vita pubblica. E si trovano ad affrontare divisi problemi quali l’economia di mercato e l’intervento statale, i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali, il ruolo dell’Italia in Europa e sulla scena internazionale (missioni a fini umanitari, cooperazione allo sviluppo, contributi alla pace). D’altra parte la pluralità delle loro scelte politiche prevale pressoché in tutti i paesi del mondo occidentale. Importante è che si pensi e si rifletta insieme sull’urgenza di un comune progetto di società, in termini di convergenza, di condivisione di valori, soprattutto di soluzioni concrete.
Superata un’impostazione di tipo rigidamente confessionale, ritrovando lo spirito laico di tanti pionieri, si impongono all’attenzione tre temi: 1) giustizia sociale, in un’economia di comunione, partecipata e solidale, che sconfigga per quanto possibile la logica della mera efficienza produttiva. Il modello di economia consumistico e distruttivo dell’ambiente e delle relazioni umane in vigore, l’economia della quantità che schiaccia quella della qualità non si sintonizzano certo coi moniti del Vangelo; 2) bisogna rifondare le radici ideali e spirituali dell’Europa; 3) riproporre come fondamentale il valore della famiglia (è causa di smarrimento e di disintegrazione l’uso libero, disinvolto e disinibito della sessualità, se orientato esclusivamente alla relazione e al piacere dei singoli; la sua potenzialità creativa e ordinata si ravvisa nella stabilità e solidarietà, nel reciproco servizio e donazione; non ci si può limitare alla gratificazione reciproca).
Comunque non è lo spirito indifferenziato di crociata che ci deve distinguere, né possiamo rinchiuderci nei ghetti, senza possibilità di dialogo e di reciproca comprensione. Non ci prenda peraltro la frenesia del fare sul pensare, del trovare facili espedienti che negano la complessità della realtà, tanto meno ci si impantani nella pura gestione del potere e non si sfrutti la logica cogente dei valori per pura ragione di sopravvivenza politica e partitica.

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