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Opinioni

LA PROVA CHE MANCA

VINCENZO CIARAFFA - 19/09/2014

Massimo Bossetti, imputato dell’omicidio Gambirasio

Massimo Bossetti, imputato dell’omicidio Gambirasio

«Manca sempre la prova regina, e tanti delitti rimangono insoluti. Vedi gli ultimi sviluppi di Garlasco, per non dire del caso Yara». Questo è stato l’argomento di una e-mail che ci siamo scambiati col direttore di RMF qualche giorno fa, un argomento dal quale traspariva tutto il disagio di un cittadino perbene di fronte al deteriorarsi non del nostro sistema giudiziario, come da più parti s’inclina a sostenere, ma dello stesso senso della giustizia.
Come scrivemmo qualche anno fa proprio su questo settimanale, per capire il tipo di deterioramento che si è venuto a creare nei rapporti tra il potere legislativo e quello della giustizia, tra magistratura e politica, basterebbe leggere l’introduzione del prontuario giuridico edito nel 1997. Ebbene, nell’introdurre il preliminare concetto di legge, gli autori di tale prontuario esordirono dichiarando che «Ogni ordinamento giuridico si fonda sulle leggi, essendo costituito da un complesso organico di norme, e vive di leggi, ossia della cosiddetta attività legislativa». Cosiddetta? Se non ricordiamo male, il principio – cardine della nostra Costituzione si fonda sull’individuazione di tre fondamentali funzioni attraverso le quali si manifesta l’autorità dello Stato, e la prima di tali funzioni è proprio quella legislativa, altro che “cosiddetta”!
Sul versante politico, invece, Berlusconi ancora oggi non perde occasione per gridare alla «Dittatura della magistratura», fingendo di non capire di essere diventato lui stesso la smentita vivente di tale affermazione. Che razza di dittatura giudiziaria è quella che l’ha mandato assolto in quasi trenta processi? La verità è che nessuna delle due parti in causa vuole prendere atto di essere affetta da una perniciosa crisi di affidabilità, e nessuna delle due è disposta ad ammettere che sia la crisi politica, sia la crisi giudiziaria ha avuto la medesima genesi: “Mani pulite”. Questa espressione, coniata dal deputato comunista Giorgio Amendola, è passata a indicare quel sabba mediatico e giudiziario sviluppatosi nei confronti della classe politica e di quella economica, delle istituzioni, e che ha portato alla luce un perverso intreccio di comportamenti illeciti dell’intera classe dirigente italiana, in altre parole a “Tangentopoli”, la dea-madre delle Tangentopoli dei nostri giorni.
Quello fu il momento in cui la storia del nostro Paese avrebbe potuto cambiare, se ognuna delle parti in causa avesse assolto il compito che la circostanza imponeva: il compito (ma anche l’interesse) della politica sarebbe dovuto essere quello di rigenerarsi in fretta, mentre il compito (ma anche il dovere) della magistratura quello di andare avanti nella sua opera risanatrice, mantenendosi, però, sopra le parti. Ebbene, tutto questo non è avvenuto perché – per la prima volta dalla caduta del fascismo – il potere legislativo ha cercato di coartare quello giudiziario.
Infatti, passato lo smarrimento iniziale, un Parlamento con la fedina penale non compattamente pulita ha cercato di imbrigliare l’attività della magistratura con proponimenti legislativi ad usum fabricae e cioè capaci di offrire ad un potenziale imputato tali e tante scappatoie, che nulla hanno a che vedere col garantismo, da avere il potere di “sterilizzare” qualsiasi capo d’accusa, da consentire di sostenere tutto e il contrario di tutto. Chi scrive fu Legal Advisor di un ente militare internazionale e ricorda bene lo stupore sul viso del suo Comandante in capo che doveva decidere su di una faccenda normata dalla legge: «Comandante, lei può decidere per il sì e per il no e, a norma di legge, avrebbe preso la decisione giusta in entrambi i casi».
Ebbene, i procedimenti giudiziari seguiti all’infanticidio di Cogne, ai delitti di Garlasco, Perugia e quello di Yara Gambirasio in Brembate, dove nulla è più certo e dove tutto è stato messo in discussione in diversi gradi di giudizio, sono figli di questa caratteristica della giurisprudenza italiana. Prendiamo il caso di Yara, la tredicenne uccisa a Brembate il 26 novembre del 2010, dopo quattro anni di lavoro e di molteplici errori investigativi (tant’è che è stato rimosso qualcuno…), si è arrivati finalmente ad acciuffare il probabile autore dell’orrendo crimine le cui tracce biologiche sono state trovate sullo slip della povera Yara.
Ebbene, voi non ci crederete, ma tutto l’impianto accusatorio è stato messo in crisi dalle dichiarazioni di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Malpello accusato del crimine: «Io non c’entro, quelle tracce deve averle lasciate qualcuno del cantiere che ha usato i miei attrezzi di lavoro». Ma seguendo tale criterio, gli autori del delitto potrebbero essere migliaia di persone, compreso l’operaio della fabbrica dove tali attrezzi furono prodotti! Non è un caso, quindi, che in Italia vi siano nove milioni di processi pendenti e che 170.000 di essi si prescrivono ogni anno. Come dire che un cittadino, se è persona dabbene, ha difficoltà a ottenere rapidamente giustizia, se è un mascalzone, invece, ha 170.000 possibilità di farla franca.
A questo punto una lievitante fetta d’italiani incomincia a chiedersi se Parlamento sia ancora sinonimo di governo del Paese e se Tribunale lo sia di giustizia. E credete, il garantismo non c’entra per niente con il rigore della giustizia e con la certezza della pena. D’altronde, il garantismo altro non è che il rispetto delle garanzie costituzionali dei cittadini contro gli arbitri dello Stato, arbitrii che, nel caso italiano, hanno assunto aspetti d’inedita creatività laddove si sono semplicemente annacquate le leggi in modo che offrissero inauditi livelli d’impunità a tutti… soprattutto ai legislatori.
Incaponirsi, perciò, a ricercare quella che il direttore di RMF chiama “prova regina”, è specioso è inutile perché da com’è stata concepita la giurisprudenza del nostro Paese una prova regina non esisterà mai! Forse aveva ragione un vecchio appuntato dei Carabinieri del tempo che fu (era il papà di chi scrive…) che aveva un suo infallibile metodo per trovare i colpevoli: «Se mi chiamano perché da una stalla dove vivono una vacca e un cane è sparita una balla di fieno io, senza tante storie, arresto la vacca!». Altri tempi, altra sensibilità giuridica si dirà, sta di fatto che oggi non va più in galera né la vacca, né il cane. E questa è una prova provata.

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