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Cultura

STORIA DI GILBERTO LUNARDON

CHIARA AMBROSIONI - 19/09/2014

masinaDi Ernesto Masina è stato scritto: “Ha scoperto nella maturità il piacere del racconto”; il suo esordio è infatti datato 2013, quando “L’orto fascista” è stato pubblicato da Pietro Macchione Editore. Classe 1935, da bambino Masina ha vissuto in diverse città perché il padre era un ufficiale dei carabinieri. Oltre che marito e padre felice, è stato responsabile commerciale di un’azienda chimica e affermato giornalista. Le sue passioni sono l’arte e la lettura. Per questo ha deciso di scrivere: “Ero un lettore da sessanta libri all’anno – racconta –. A un certo punto mi sono detto: potrei scrivere io stesso ciò che vorrei leggere”.
Teatro della vicenda del suo primo romanzo è Breno, un piccolo paese della Val Camonica. L’anno è il 1943, il contesto storico quello degli ultimi giorni del fascismo in Italia, quando prese vita l’idea romantica dell’“orto fascista”, ovvero che piccoli appezzamenti di terreno potessero risolvere il problema della fame in Italia. Masina tratteggia con penna vivace i caratteri dei personaggi e le vicende di cui sono protagonisti bambini e adulti del paese, a fianco delle autorità fasciste e di sei militari tedeschi.
Le storie si dipanano dapprima parallele, quindi intrecciate, in un crescendo sempre più rapido che porta all’esplosione finale, seguita da un botto inaspettato. E non si tratta solo di un linguaggio metaforico, perché uno degli ingredienti di “L’orto fascista” è proprio la dinamite.
Temi dell’intreccio, oltre a quelli più spiccatamente politici e di azione, sono gli amori, la condivisione e anche il disvelamento. C’è spazio anche per un momento autobiografico, perché il piccolo Eugenio che arriva con la famiglia nel paese della Val Camonica è proprio l’autore da piccolo, in fuga da Brescia e dai bombardamenti.
Masina spiega: “Sentivo dentro il desiderio di scrivere una storia che non conoscevo e che mi autoraccontavo. Mi sono messo davanti al computer e ho scritto una vicenda in cui emerge la mia esperienza personale della guerra e dell’invasione tedesca. Un vissuto che ho cercato di smitizzare, inserendolo in un contesto più da commedia che da tragedia”. E infatti la sua scrittura ricca di ironia e la trama piena di colpi a effetto creano una pochade, una sorta di commedia piena di intrighi.
Il desiderio del Masina di fissare un racconto destinato ai nipoti ha raccolto un tale entusiasmo da parte della sua famiglia – in particolare della sorella – e degli amici, che è nato un primo volume. “Quando ho iniziato a scrivere non avevo nessuna ambizione o aspirazione… Non pensavo che il mio scritto potesse essere pubblicato e piacere a tanti. È una cosa che mi commuove. La voglia di scrivere una trilogia sul paese di Breno mi è venuta realizzando un secondo libro. Così se “L’orto fascista” si riferisce al periodo della guerra, “Gilberto Lunardon detto il Limena” (anch’esso pubblicato da Macchione Editore) è ambientato nell’immediato dopoguerra, mentre il terzo volume, del quale sono in avanzata stesura, parlerà di fatti avvenuti prima della Liberazione ma che si concreteranno molto dopo la fine della guerra”.
Anche in “Gilberto Lunardon” entra in gioco la capacità di Masina di raccontare: ancora una volta, sin dall’apertura, la scrittura procede scorrevole tra avvenimenti e personaggi, gli stessi incontrati nel suo esordio. Teatro delle vicende è ancora Breno, in Val Camonica; ma la fine del fascismo ha cambiato molte cose. Il podestà è fuggito, nuovi abitanti arrivano, allontanandosi dal loro passato e lo sguardo si allarga da Breno alla pianura, fino ad arrivare in Liguria. Il paese diventa la casa di due fratelli che vogliono avviare una piccola impresa di monta taurina con il grosso animale che hanno portato a fatica in montagna. Il più giovane, dai riccioli d’oro, darà il via a molti sviluppi della trama.
C’è poi quel Gilberto Lunardon del titolo: è stato il maggiordomo di una ricca famiglia veneta e strane vicissitudini l’hanno portato a Breno ad allevare oche, facendo sorridere il lettore con le sue parole in dialetto. Una morte misteriosa muove la seconda parte del romanzo, con la curiosa processione dei peccatori più disparati che bussano alla porta del semplice e stupefatto coadiutore del parroco di Breno, rendendolo un protagonista pieno di fede. E il tema della giustizia che giustizia non è, scorre a fianco del tema dell’amore, con un ruolo importante per quel farmacista che già ne “L’orto fascista” aveva voluto primeggiare tra i suoi concittadini e che, proprio per amore, lascia Breno e incontra il vizio e la violenza, tanto da decidere di non abbandonare mai più il suo angolo di paradiso.
Le storie si muovono con una coralità sempre più intensa e coinvolgente. Quando leggiamo l’ultima pagina non tutti gli intrecci si sono sciolti e il lettore si ritrova ad aspettare il volume che chiuderà la trilogia di Masina e della Val Camonica con quello spicchio di umanità che ormai ben conosce.

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