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Editoriale

SCENDERE

MASSIMO LODI - 19/09/2014

191Il ragazzo che sale sul cipresso a protestare è un simbolo. Che lui voglia o no. Che lo sappia o no. Che gli piaccia o no. È il simbolo della protesta. Di una serie di proteste che da ormai un paio d’anni s’arrampicano sugl’intonaci di Palazzo Estense. Storie di ospedali costruiti dove non si dovrebbe, di parcheggi previsti dov’è sconsigliabile, di piazze lasciate andare alla malora invece che bentenute, di microcriminalità e vandalismi impuniti anziché prevenuti e repressi, d’inquinamento tollerato piuttosto che aggredito. Eccetera. In sostanza: di malcontento verso decisioni prese (1) e di sorpresa verso decisioni non prese (2).
C’è un filo che lega un simile insieme? Razionalmente no. Non c’è. Episodi isolati, contestazioni specifiche, obiezioni singole pur se talvolta di gruppo. Però, riassunto e meditato il tutto, se ne trae il messaggio d’una delusione allargata, evidente, non liquidabile come un florilegio di prevenzioni (complotti, perfino: ma per favore!) indirizzate all’amministrazione di centrodestra. Essa prova a cavarsela dicendo che esistono movimenti del no cui non corrispondono mai dei sì: cioè assenza di proposte d’alternativa a quelle contro cui ci si oppone.
Beh, non va così. Non va affatto così. Prendiamo il caso Prima Cappella: fior d’esperti hanno suggerito soluzioni diverse per il parcheggio, ma non sono state tenute in alcun conto. Idem a proposito dell’Ospedale del bambino al Del Ponte: bell’idea, ma non da attuare lì. Si poteva pensare a una più saggia collocazione. E che dire, sempre in merito ai parcheggi, dell’autosilo di Villa Augusta, prima giudicato indispensabile dall’autorità municipale e poi non più, dopo la reazione popolare negativa e il sorgere d’una occasionale possibilità per realizzare altrove l’area di sosta?
Non è epoca di trame politico – populistiche, cari amministratori. Semmai di sconforto. D’amore tradito verso una città di fascino che si ribella ai segni di sfascio. Di chiacchiere vuote senz’avere mai la forza d’offrire al dibattito pubblico un pieno d’idee. D’assenza di progettualità convincente, a portata di legislatura, concreta e non astratta.
Dite: piazza Repubblica la cambieremo, ci sono i soldi, il piano, la volontà. Vi crediamo. Ma non abbiamo ancora capito come realmente la cambierete: un giorno sostenete in un modo, il giorno successivo in un altro. E avanti così, nel segno della mutevolezza. Fermatevi, chiarite, munitevi d’una bussola, scegliete l’orientamento definitivo. In fretta: manca un anno e mezzo alla fine del vostro mandato, e siete ancora lì – su tanti argomenti – a farne questioni di principio. È ora, come avete suggerito al climber incatenatosi sul calocedro dei Giardini estensi, di scendere dalla pianta. Di venirci incontro sul terreno del dialogo vero, della praticità, del bene collettivo. A proposito: attendiamo spiegazioni convincenti, come scrive qui accanto il carissimo saggio Ambrogio Vaghi, sul futuro di Villa Mylius.

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