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Attualità

CITTA’ GIARDINO ADDIO?

OVIDIO CAZZOLA - 31/10/2014

Camillo Massimo Fiori nel suo articolo ‘Città giardino addio’ apparso sull’ultimo numero di RMFonline considera, con l’affetto che porta per questa nostra città, la sua attuale condizione, risultato di concezioni urbane, particolarmente incidenti nell’ultimo dopoguerra, che hanno caratterizzato la pianificazione urbana.

La soppressione del sistema di trasporto pubblico che aveva assicurato un prezioso servizio fino al 1953 alla città, con le sue linee tramviarie sulle strade radiali che collegavano gli antichi nuclei urbani ormai aggregati al capoluogo e portavano verso le preziose presenze di Santa Maria e dell’Hotel Campo dei Fiori, lo sviluppo della motorizzazione privata, la crescente domanda di residenze autonome alla ricerca di modi di vita ritenuti più soddisfacenti per una indipendenza apparentemente raggiunta.

I Piani regolatori offrivano alla nuova edificazione i grandi spazi interposti fra quelle ‘radiali’. L’attività immobiliare, favorita anche da una forte immigrazione, assumeva una rilevanza economica notevolissima, rendendo necessarie nuove opere stradali di raccordo e servizi urbani diversi. La diffusione dell’automobile favoriva negli anni successivi la creazione della grande distribuzione con il superamento progressivo delle attività commerciali esistenti, presenti nei centri storici.

Abbiamo preso ormai atto e consapevolezza di questa ‘diversa’ città. Che non ci piace. Che pone problemi nuovi che dobbiamo affrontare. È il compito di una ‘politica’ nuova, che deve compiere scelte urbanistiche diverse, fondate su meditate considerazioni organizzative e sociali.

Le dimensioni urbane da considerare presentano una complessità e una necessità di scala diverse. La dimensione di maggior evidenza riguarda la cosiddetta ‘città vasta’. Dagli anni ’50 del secolo scorso, infatti, i centri minori dell’area Varesina andavano realizzando una saldatura edificata senza qualità con il capoluogo.

Oggi ci si deve interrogare sulle prospettive di significato, di immagine, riorganizzative che dobbiamo affrontare per questa ‘città vasta’. Non si tratta di un’operazione impossibile, a condizione tuttavia di individuare gli obiettivi da raggiungere di funzionalità, di relazione sociale, di bellezza. Contrastando ogni valutazione che sia di sola quantificazione e trascuri la qualità e l’obiettivo degli interventi.

È evidente che per questo occorre mettere a punto procedure nuove di progettazione e di verifica rispetto all’esistente e una rinnovata visione di parti della città e del paesaggio più estesamente considerato.

Innanzitutto occorre chiederci quale prospettiva, quale ruolo, quale organizzazione l’area urbanizzata possa darsi nel generale contesto del territorio prealpino a cavallo del confine italo-svizzero: tutto questo è ancora da definire.

Alcune intuizioni e indicazioni vengono dallo studio di Piano regolatore di quindici anni fa, che l’allora maggioranza del Consiglio comunale di Varese approvò con alcune modifiche sostanziali rispetto alla proposta della società Oikos di Bologna incaricata della sua stesura.

Si tratta della vocazione congressuale che veniva indicata come conveniente per la città a servizio dell’ampia area di riferimento tra Malpensa e il Canton Ticino, insufficientemente oggi servita dalle ville Ponti. Si tratta della necessità riorganizzativa del sistema di mobilità urbana da appoggiare anche su un sistema ferroviario adeguatamente articolato e potenziato. Si tratta ancora –anche se quel Piano non affrontava il problema che ha evidente rilevanza sociologica- di ridare riferimenti comunitari e simbolici, luoghi significativi di identità e di incontro dei cittadini.

Abbiamo oggi una netta sensazione di impotenza di fronte ai processi di sviluppo della città in cui viviamo e della difficoltà di costruire quei sistemi di relazione sociale che consentano il superamento dell’isolamento diffuso, la elaborazione di progetti comuni, la partecipazione alle decisioni che riguardano tutti.

La maggioranza del Consiglio comunale di Varese ha approvato recentemente il Piano di Governo del Territorio (PGT) dopo un lungo confronto, in tempo utile rispetto alle scadenze definite dalla Regione.

Occorre rilevare che si tratta di un documento che non propone alla Città un futuro di vita rinnovata e di ruolo nuovo che potrebbe/dovrebbe assumere. Eppure fra gli obiettivi centrali enunciati veniva posto in evidenza il potenziamento del ruolo di Varese “nel contesto territoriale in cui è inserita”. Venivano richiamate a tale riguardo le indicazioni dell’Associazione Varese Europea distinguendo un’area varesina ristretta, un’area varesina diffusa, un’area varesina potenziale.

Ma il riconoscimento delle relazioni territoriali, economiche, infrastrutturali, culturali sul territorio vasto della Città reale non si sono tradotte in proposte.

Sarebbe stato compito della politica del Capoluogo, delle sue visioni della realtà di questa fascia prealpina, delle sue ricchezze ambientali e storiche, promuovere il dialogo/confronto con le altre realtà amministrative comunali, in assenza dell’assunzione di iniziative, forse ancora possibili, della Provincia di Varese.

Per il progetto di un futuro condiviso, che ci liberi da una condizione di inaccettabile passività.

Il PGT approvato ripiega sul territorio comunale, non affronta temi che pure potrebbero già oggi indicare un futuro condiviso intercomunale. I suoi contenuti si riducono alla gestione dell’esistente, non affrontano problemi che da tempo richiedono, per la loro evidenza e urgenza, soluzioni ragionevoli e incisive.

Sarebbe stato possibile e necessario affrontare, nell’ambito anche del solo territorio comunale del Capoluogo, temi centrali per il futuro della Varese reale che comprende, nella stima anni ‘90 della Oikos, redattrice del PRG, più di 150 mila abitanti.

Il PGT non avrebbe dovuto limitarsi alla considerazione di ambiti strategici ristretti, delle aree di trasformazione possibile, della normativa che regola l’edificazione. Ma avrebbe dovuto dare indicazioni sui grandi temi che abbiamo bisogno di affrontare. Varese non deve abbandonare l’ipotesi di essere/diventare città congressuale, sufficientemente dotata in luoghi strategici, simbolici, significativi, che esaltino la bellezza del suo paesaggio. Non deve accettare la insufficiente sua attuale condizione di accoglienza.

Il teatro, che desideriamo, può essere, come nel passato, una realtà conclusa autosufficiente o deve essere parte di un organismo composito di grande offerta articolata culturale?

Dove ci si confronta e si progettano i nostri destini civili?

Quale ruolo di maggiore rilievo dovrebbe assumere nella Città la presenza e lo sviluppo dell’Università?

Il patrimonio di bellezza, che la storia ci ha consegnato, esiste ancora nonostante le offese subite.

Ma occorre la cura necessaria che consenta di riconoscerlo. Che va rimesso in gioco in questo territorio prealpino. Anche in occasione dell’Expo.

Il nostro Sacro Monte, il nostro lago con la corona degli altri laghi prealpini, lo scenario delle Alpi, ci chiedono una pianificazione che valorizzi luoghi e accessibilità, offerti all’ammirazione delle persone più che alle pretese dei veicoli. Facendo rifiorire questa Città per l’affetto che può offrire a chi la desideri.

Si parla oggi, con insistenza condivisibile, della necessità di liberarla dal dominio del traffico veicolare. Le circonvallazioni, le ‘bretelle’, i nuovi autosili dovrebbero consentire una veicolarità più accettabile. Con non poche perplessità. Perché occorre anzitutto ridurre il traffico veicolare con una maggiore razionalizzazione del trasporto pubblico.

Ricordo ancora una volta la proposta Oikos per una linea di tram moderno da Bizzozero a Masnago raccordata a una diversa ‘gemmazione’ delle linee degli autobus urbani, complementare e coordinata al sistema ferroviario esistente da più di un secolo. Ma occorre definire anche in città percorsi indipendenti e protetti per chi si sposta in bici. Penalizzando necessariamente i percorsi veicolari. Con la ciclabilità occorre favorire la pedonalità con marciapiedi più ampi, alberati, con attraversamenti stradali più sicuri. Si tratta insomma di ripensare la città a misura delle persone, valorizzando i luoghi significativi di incontro, di relazione.

Guardiamo al nostro passato che può farci capire molte cose. Se i ‘nuclei storici’ non sono più, da soli e oggi, luoghi per l’incontro desiderato, occorre individuare nella pianificazione nuovi luoghi di vita e attrazione che si fondino anche sulle strutture pubbliche di servizio già esistenti frequentemente non valorizzate con la loro funzione-presenza essenziale.

Occorrono nuovi spazi pubblici significativi che comprendano le nuove chiese e le scuole, ogni altra presenza di utilità e attrattività che si affacci su piazze anche articolate, dotate di verde pubblico e di luoghi di sosta non disturbati dalla mobilità veicolare. Raggiunti con percorsi pedonali valorizzati da realizzazioni di verde. Spazi pubblici dove assicurare, anche con il parziale impegno comunale, la presenza di servizi per l’acquisto di generi di prima necessità a chi non possiede l’automobile o non la può guidare perché anziano o in difficoltà personale. Anche per questa offerta, attrattivi.

Ridisegnare la città per la vita di relazione dei suoi cittadini è una necessità urgente e civile, di cui purtroppo si parla ancora poco, rivolti troppo, come finora si è fatto, a una visione di benessere individuale affidato soltanto a un illusorio futuro fondato su un generico progresso. Per tutto questo dobbiamo insieme impegnarci.

 

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