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Cultura

DOSSETTI, VOCE PROFETICA

LIVIO GHIRINGHELLI - 12/12/2014

DossettIQuand’era ancora vivo piovevano su Giuseppe Dossetti (1913-1996) giudizi d’aperto misconoscimento della sua opera, del suo pensiero: lo si accusava di integralismo, cattocomunismo, lo si voleva massimalista, settario, dottrinario. Montanelli lo accomunava a La Pira e a Lazzati nell’avere gli occhi troppo levati al cielo per accorgersi della fogna, in cui i loro piedi stavano guazzando. Anche il suo riaffacciarsi politico-morale negli anni Novanta, quelli di Tangentopoli, in difesa dei valori della Costituzione (nel momento più fulgido del suo impegno si era generosamente profuso da doverne essere considerato uno dei Padri più significativi) è stato persino interpretato in chiave di immobilismo, di uomo rivolto a un passato decisamente superato dall’evolversi (o involversi?) dei tempi, alla luce di una inguaribile nostalgia: non si doveva considerare la Costituzione come un intoccabile libro sacro refrattario agli stimoli della storia.

Nella sua prima esperienza Giuseppe Dossetti si era concentrato soprattutto sul settore della vita spirituale (fortissima in questa dimensione l’influenza della madre) e religiosa; scarso e non rilevante, ma passivo, il suo inserimento nel flusso del conformismo ideologico fascista, tipico dei tempi. Già nel 1930 sotto la direzione di Dino Torreggiani nell’ambito dell’associazionismo cattolico sviluppa attenzione al mondo degli emarginati nella ricerca ascetica di una severa perfezione interiore e si dedica a intensi studi biblici. Nell’ottobre del 1930 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna, laureandosi poi con una tesi in diritto canonico dal titolo “La violenza nel matrimonio canonico”. È il diritto che nell’elaborazione dottrinale e nella formulazione del Codex conferisce forza sociale al primato della coscienza sulla forma istituzionale.

Nel novembre del 1934 si presenta a padre Gemelli e ne viene accolto come perfezionando in diritto romano. Al Collegio Augustinianum stringe rapporti con Giuseppe Lazzati, dirigente della GIAC milanese. Nel 1936 è ammesso al sodalizio dei Missionari della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo (i membri laici vi si consacrano in segreto facendo voti di castità, povertà, obbedienza e apostolato). Se ne ritrarrà dopo la crisi del sodalizio nel 1937-38. Nello stesso anno diventa assistente di diritto canonico.

L’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 costituisce lo spartiacque decisivo nell’assunzione di un chiaro impegno politico. Lo si registra presente nei vari incontri tenuti in casa del professor Umberto Padovani dall’ottobre del 1941, in cui si auspica l’instaurazione di un regime democratico. Partecipa poi alla Resistenza sentendo profondamente il dramma esistenziale del conflitto nell’esigenza improcrastinabile di un ordine nuovo e sceglie comunque di essere un partigiano disarmato (al fondo è un terziario francescano); dal febbraio del 1945 è anche in montagna e partecipa ad azioni militari. Presidente del Comitato di liberazione nazionale di Reggio Emilia trova conferma nell’incarico nell’aprile del 1945 grazie al prestigio conquistato.

Questo il senso della sua partecipazione al movimento: fiducia in uno sviluppo democratico dello Stato, rifiuto di ogni ribellismo e giustizialismo di tipo giacobino, specialmente degli eccessi vendicativi. Dal 12 al 15 maggio del 1945 presiede il Convegno nazionale dei gruppi giovanili Dc ad Assisi. Nell’elezione della nuova direzione del partito diventa vicesegretario con Attilio Piccioni e Bernardo Mattarella. Trasferitosi a Roma affida ad Amintore Fanfani la direzione della Spes (ufficio studi propaganda e stampa). I suoi due obiettivi sono quelli di fornire alla Dc un impianto ideologico adeguato ai tempi e indirizzarla verso la scelta repubblicana (qui il dissenso con De Gasperi incline invece ad una scelta agnostica). Il contrasto determina le sue dimissioni dalla vicesegreteria e dalla direzione (settembre 1946). Nell’occasione delle elezioni per l’Assemblea costituente viene eletto nel collegio Parma – Modena – Piacenza – Reggio Emilia con quasi trentamila preferenze.

Nell’ambito dei lavori assembleari si distingue immediatamente per la sua competenza, avvalendosi del sostegno dei giovani amici La Pira, Fanfani, Lazzati, Moro, i cosiddetti professorini. La sua partecipazione è decisiva sul piano dell’organizzazione e su quello dei contenuti. Nella Commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini e articolata in tre sottocommissioni il suo interesse lo porta alla definizione degli articoli fondamentali d’apertura sui diritti e i doveri dei cittadini. In rilievo sono l’introduzione pervasiva del principio personalista, la qualificazione della Repubblica come fondata sul lavoro, ma pure i limiti costituzionali al potere dello Stato e la sottolineatura dei partiti come pilastri del sistema democratico.

Nel discorso in aula del 21 marzo 1947 si pronuncia per il riconoscimento costituzionale dei Patti lateranensi nel senso di una renovatio dal patto originario grazie al nuovo assetto dello Stato e anche a una Chiesa teologicamente definibile come Chiesa del Verbo Incarnato. I cattolici, a lungo assenti ai margini della Nuova Italia possono ora a pieno titolo diventarne i protagonisti.

Nel settembre del 1946 fonda il movimento Civitas humana, una specie di secolarizzazione del sistema dei laici consacrati: un rinnovamento della Chiesa deve sempre precedere ogni grande rinnovamento di strutture della civiltà. Del maggio 1947 sono le Cronache sociali, coagulo di larga parte della nuova generazione post Partito popolare. Con l’articolo “Fine del tripartito?” Dossetti, mentre critica l’ambiguità politica del PCI, invita la DC ad assumere in proprio da sola gli orientamenti dell’alleanza costituita coi partiti popolari.

Nelle elezioni del 18 aprile 1948 si dichiara contrario alla campagna tutta fondata sull’anticomunismo nella prospettiva degasperiana di un’alleanza coi partiti del passato di natura compromissoria. Così pure schierato in campo avverso Dossetti si presenta nel dibattito sull’adesione al Patto Atlantico (aprile 1949): lo giudica un accordo militare di notevole gravità, che relega ai margini il partito; l’Italia deve stare fuori da uno schieramento bipolare che esclude la possibilità di un ponte tra Est e Ovest. Alternative: un solido rapporto bilaterale con gli Usa, la costruzione di un’Europa unita a bilanciamento. Finalità costante: spostare in avanti gli equilibri economico-sociali del Paese. Sempre aspre le critiche alla linea economica gestita dal binomio Einaudi Pella.

Nel terzo Congresso nazionale della DC (Venezia, giugno 1949) Dossetti si pronuncia per “un terzo tempo sociale”. È convinto che si debba trattare di un partito programmatico e non di unità confessionale: il Cattolicesimo deve essere il collante culturale. Delle riforme attese al momento si realizza soltanto la legge stralcio sulla Sila e si avvia la Cassa del Mezzogiorno. Nell’ottobre del 1950 Dossetti entra a fare parte dei Milites Christi di Lazzati. È ancora vicesegretario del partito nel 1950-51, ma il mancato avvio di un coerente progetto riformistico e la scelta prioritaria della Nato rispetto all’Europa l’inducono a ritirarsi dalla vita politica, alle dimissioni del novembre 1951 e nel 1952 lascia il Parlamento.

Nell’autunno del 1952 fonda a Bologna un Centro di documentazione con un filone di ricerca sui Concili e in particolare su quello di Trento, convocato per esigenze di riforma cattolica e non solo per avversare l’eresia luterana. Nel 1956 il cardinale arcivescovo di Bologna Lercaro lo vuole candidato a sindaco della città. Il Libro bianco dà alla lista una connotazione nettamente di sinistra, ma la maggioranza rimane nelle mani del PCI.

Ora si apre la fase del Dossetti riformatore cristiano. Già alla fine del 1955 ha formato una sua comunità monastica, la Piccola Famiglia dell’Annunziata. Alla fine del 1956 ha abbandonato la carriera accademica (era ordinario di diritto ecclesiastico e canonico a Modena dal 1947). Il 6 gennaio 1959 è ordinato sacerdote. Indetto il Concilio Vaticano II produce con un gruppo di studiosi una raccolta dei Decreti conciliari, consegnata in udienza al Pontefice.

Dal 31 agosto 1961 il Centro di documentazione si trasforma in Istituto per le scienze religiose. Dal 5 novembre 1962 Dossetti figura come collaboratore di Lercaro in qualità di perito esterno al Concilio. Attende alla stesura del Regolamento dei lavori dell’assemblea e diviene segretario dei quattro moderatori (Agagianian, Suenens, Doepfner e Lercaro). Impedisce così l’approvazione dei testi già preparati dalla Curia romana, favorendo una reale discussione. Nel 1967 diviene provicario della Diocesi di Bologna. In conseguenza dell’allontanamento del cardinale per dichiarazioni imprudenti si emargina da responsabilità dirette, temendo battute di arresto sulla via delle riforme. Nel 1972 si trasferisce a Gerico nei territori occupati, pellegrino in Terra Santa.

Negli anni Novanta si pronuncia, rientrando sulla scena politica, contro l’ipotesi di una riscrittura radicale della Costituzione in seguito alla deriva berlusconiana. Ammette come possibile ovviamente la revisione di alcune parti del testo, non dello spirito che l’ha dettato, in nome di quella che definisce una mitologia sostitutiva. Alle 6.30 di domenica 15 dicembre 1996 torna “al suo desideratissimo Signore”, morendo presso Monteveglio.

Urge sempre più il compito di liberarlo dalle facili banali classificazioni per restituirne il profilo complesso di autentico Padre della Patria.

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