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Politica

QUIRINALE/2 I NUMERI DEL PRESIDENTE

MANIGLIO BOTTI - 23/01/2015

urnaSi dice che un importante personaggio del giornalismo sportivo, proveniente a buon diritto dal mondo della letteratura (Giovanni Arpino?), all’esame di idoneità professionale, alla domanda quali e quanti fossero i poteri del presidente della Repubblica, rispose: immensi. I commissari non osarono più indagare e, in breve, licenziarono il candidato, neo-giornalista professionista.

Proprio “immensi”, secondo quanto stabilito dai padri costituenti, i poteri del presidente della Repubblica, non sono o non dovrebbero essere. A parte le cosiddette cariche “onorifiche” – la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio supremo di difesa – sono essenzialmente due: la facoltà di sciogliere le Camere e la nomina del primo ministro e – su proposta dello stesso – quella degli altri ministri che compongono il governo. Dei due, il primo potere, la facoltà di sciogliere le Camere, a nostro giudizio, è il più rilevante. Il presidente del Consiglio, infatti, spesso si impone da sé, e qualora la nomina si configuri invece come manovra politica, essa appare facilmente decifrabile e il Parlamento ha in ogni caso la possibilità di avallarla o no con la fiducia. Ma lo scioglimento delle Camere e il successivo coinvolgimento del cittadino si presenta come un richiamo (guidato) alla quintessenza della vita democratica di un Paese.

V’è poi un terzo potere non precisamente sancito dalla Costituzione, si tratta dell’ “esternazione”, o meglio delle “esternazioni” del presidente, che vanno ben al di là della possibilità conferitagli di esprimersi con un messaggio alle Camere. Si tratta di un potere vago e indefinito che, specie se associato al primo, anche solo come un’ipotesi più che un’incombente minaccia, davvero può risultare “immenso” ed esiziale.

Nella valutazione di un settennato presidenziale – un periodo molto lungo e significativo, soprattutto con i tempi odierni della politica – il costituzionalista Michele Ainis, sul Corriere della Sera, qualche settimana fa, parlava di situazioni definibili come “accidents of personality” e di “accidents of history”, cioè di situazioni ascrivibili agli umori di un capo dello stato e delle condizioni in cui si trova a operare, e di situazioni di carattere storico, come dire – con una non felicissima parola (nostra) – che l’opera di un presidente va sempre contestualizzata. Può accadere così che un presidente salito al Quirinale con un certo aplomb e con un viatico preciso, derivatigli da una militanza e da una vita politica particolari, nel corso degli eventi può assumere posizioni e aspetti del tutto diversi.

Cambiamenti del genere – e gli accidenti della storia stavano lì a giustificarlo – accaddero con certe “esternazioni” di Sandro Pertini, il presidente partigiano più amato dagli italiani, con le “picconate” di Francesco Cossiga, che qualcuno voleva portare all’impeachment, con la “nuova” situazione in cui si trovò a lavorare Oscar Luigi Scalfaro, e forse anche con alcuni passaggi della presidenza di Giorgio Napolitano: si veda per esempio la nomina di senatore a vita di Mario Monti e, subito dopo, la sua chiamata alla presidenza del Consiglio.

L’aspetto, molto generale, della nomina di un presidente che sia “presidente di garanzia” – garanzia della nostra vita democratica, s’intende – è con i chiari di luna attuali un evento molto difficile, e forse improbabile, soprattutto se l’elezione – come è stato da più parti fatto notare – avviene dal quarto scrutinio in poi, a maggioranza semplice. A quel punto il presidente sarà (potrà essere) un presidente di garanzia solo nominalmente, ma agli effetti il presidente di una parte che ha prevalso sull’altra magari per un esiguo numero di voti.

E se è vero che gli accidenti della storia, più che gli accidenti della personalità, possono stravolgere ogni previsione, l’elezione è in ogni caso, in ogni situazione e oggi più che mai, una complicata impresa.

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