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Cultura

LOCKE O LA TOLLERANZA

LIVIO GHIRINGHELLI - 27/02/2015

lockeNella storia del pensiero occidentale John Locke si presenta come padre del liberalismo, della separazione dei poteri legislativo ed esecutivo, del diritto dei cittadini di ribellarsi a un sovrano assoluto a tutela della vita, della proprietà e della libertà (diritti di natura), subordinando la sovranità dei governi al consenso del popolo; ma è parimenti significativa la sua apologia del principio di tolleranza religiosa esplicata nel Saggio del 1666-67 e nella Lettera del 1689. Nella prima opera, rivolgendo lo sguardo agli effetti che le opinioni religiose esercitano sulla società, Locke si premura di circoscrivere a un carattere esclusivamente politico l’azione del potere, intesa ad evitare tutte le conseguenze dannose per la pace; nella seconda le considerazioni si svolgono su un piano più nettamente religioso. Punto fondamentale è che la fede può essere soltanto frutto di una libera decisione della coscienza e non deve dipendere dalla costrizione. La Chiesa è una associazione libera e volontaria. E’ impossibile decidere una volta per tutte la vera soluzione dei problemi teologici. Ogni Chiesa è ortodossa per se stessa ed erronea o eretica per gli altri. Di qui perciò il principio di tolleranza.

Mentre Pierre Bayle (1647-1706) estende questa tolleranza a cattolici e protestanti, ebrei e musulmani, atei e sociniani, Locke esclude la penultima categoria: gli atei non possono assicurare un giuramento di fedeltà alle leggi, ed anche i cattolici, in quanto legati a un sovrano straniero, il Papa di Roma (sono infidi da un punto di vista politico).

 Le frequentazioni londinesi dei teologi razionalisti influenzano in modo decisivo John Locke nella speculazione su temi quali il rapporto tra ragione e fede, la conoscibilità razionale delle leggi morali e religiose, il fanatismo. Egli si appella al carattere di universalità della legge morale, che è emanazione della volontà di Dio in quanto legislatore (volontarismo teologico)( Saggio sulla legge di natura, 1664). Dio ci ha dato comunque le facoltà razionali più per un uso etico che conoscitivo. Sull’esistenza di Dio sono rifiutate le prove teologiche a priori; la dimostrazione a posteriori procede dall’esistenza del finito. Il nulla non può produrre l’essere; solo un essere onnipotente, onnisciente, perfettissimo, immateriale può essere alla base del processo creativo. E mentre nelle scienze della natura non c’è spazio per la dimostrazione, ma solo per la sperimentazione (adesione ai principi dell’empirismo), dell’etica si dà conoscenza pienamente dimostrativa.

Dio ci ha lasciato nel crepuscolo della probabilità, onde le diverse opinioni, in mancanza di prove certe e indubitabili della loro verità, per cui ci dobbiamo indurre a una reciproca tolleranza. Nessuna opposizione tra ragione e fede. Questa ci dà nozioni sull’al di là, sulla resurrezione dei corpi, sulla ribellione degli angeli, sull’immaterialità dell’anima, ampliando il dominio delle nostre conoscenze, ma in nessun caso la rivelazione può acquisire una certezza maggiore di quella derivante da una conoscenza intuitiva e chiara. La ragione è una rivelazione naturale, laddove la rivelazione è una ragione naturale ampliata. La fede deve essere sottoposta al controllo della ragione per quanto concerne i motivi di credibilità, l’esame razionale è un preciso dovere di ciascuno.

Nella quarta edizione del Saggio sull’intelletto umano (1700) compare il capitolo XIX sull’entusiasmo, quello che Hume e Voltaire tradurranno in fanatismo. Qui proclama il principio che la ragione deve essere il nostro ultimo giudice e guida, in tutto. Contro il dogmatismo delle Chiese e il fanatismo delle sette nel 1695 Locke pubblica il saggio La ragionevolezza del Cristianesimo così come si è manifestata nelle Scritture. È l’aspetto etico del messaggio cristiano che l’interessa essenzialmente. Cristo è il Messia, la Trinità è un dogma non tanto al di sopra, quanto si pone contro la ragione. Il Cristianesimo, religione intrinsecamente ragionevole, ha restituito evidenza, coerenza e completezza alla conoscenza della legge di natura. Solo col Cristo la legge naturale è assurta a valore pubblico, con il corollario: la maggioranza non può capire e dunque deve credere. Predicazione e miracoli hanno conferito forza coattiva a quanto prima si limitava al livello delle raccomandazioni filosofiche.

Tornando alla Lettera sulla tolleranza (1689) è chiaro il dettato di Locke: la religione vera e salutare consiste nella fede interna dell’anima, senza la quale nulla ha valore presso Dio. Qualunque cosa si professi con le labbra, qualunque culto esterno si pratichi, se non si è convinti nel profondo del cuore che ciò che si professa è vero e che ciò che si pratica piace a Dio, non solo tutto ciò non contribuisce alla salvezza, ma anzi la ostacola, perché a questo modo agli altri peccati che devono essere espiati con la pratica della religione, si aggiungono, quasi a coronarli, la simulazione della religione e il disprezzo della divinità.

Nel Saggio sull’intelletto umano Locke sviluppa poi le tematiche relative all’origine, certezza, estensione della conoscenza umana. L’origine empirica di tutte le nostre conoscenze esige che non esistano né principi né idee speculative innate, al contrario di quanto asserisce Descartes. Nei due Trattati sul governo, pubblicati anonimi nel 1689-90, manifesto della monarchia costituzionale e del pensiero liberale, lavoro e proprietà rappresentano i cardini della sua visione della società. L’appropriazione delle terre comuni mediante il lavoro legittima il processo di accumulazione primitiva, che ha caratterizzato le origini della società borghese.

John Locke nasce nel 1632 a Wrington nel Somerset da John, procuratore e ufficiale giudiziario, puritano, combattente nelle file del Parlamento all’epoca della prima rivoluzione inglese contro Carlo I. Nel 1652 è ammesso al Christ Church College di Oxford, dove si prediligono le dispute accademiche rispetto ad una genuina ricerca della verità. Si interessa all’anatomia e alla medicina. Fondamentale è il suo incontro con il filosofo e chimico Robert Boyle, meccanicista. Il 28 giugno del 1658 ottiene la nomina di senior student.

Preferisce non schierarsi quando alla morte di Cromwell fanno seguito in Inghilterra episodi di fanatismo politico e religioso. Le armi sono l’ultimo e peggior rifugio (lettera al padre del 1660). Nel 1666 conosce Lord Anthony Ashley, divenuto poi Conte di Shaftesbury e ne diviene medico personale. Nel 1668 diventa membro della Royal Society. Nel 1675 a causa di una grave crisi di asma cerca sollievo nella Francia meridionale. Tornato a Londra nel 1679 si dichiara sempre più contrario al partito conservatore dei tory, che raccoglie i parlamentari di fede anglicana, sostenitori della primazia della Corona. Nel 1682 segue il Conte di Shaftesbury in Olanda (perché accusato di cospirazione contro la monarchia). Qui Locke si avvicina alle tesi dei rimostranti arminiani. Analizza i testi sacri per leggervi il messaggio della salvezza e le Epistole di San Paolo. Partecipa ai preparativi della Gloriosa rivoluzione. È combattuto dai teologi per il suo rapporto eterodosso con le Sacre Scritture e tacciato d’ateismo. A questi studi dedica i suoi ultimi anni di vita.

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