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Attualità

IL PROBLEMA DEI RIFUGIATI

LIVIO GHIRINGHELLI - 06/03/2015

MALMSTROEM E ALFANO, PARTE FRONTEX PLUSIl passaggio dall’operazione Mare nostrum a Triton (13 ottobre 2014) non ha certo sopito le polemiche motivate dalla scarsa collaborazione dell’Europa nell’accogliere i rifugiati e una miope visione del problema determinata da facile populismo e demagogia evita la distinzione fra quanti fuggono da conflitti armati, situazioni di violenza e negazione dei diritti umani, regimi autoritari e quelli che si possono considerare solamente come dei migranti economici, tra chi è costretto a lasciare il proprio paese contro volontà e quanti compiono questa scelta alla ricerca di migliori condizioni di vita.

Il lamento è tanto più inaccettabile sul piano internazionale, riflettendo sul fatto che l’Italia e l’Europa sono investite solo in modo marginale dai flussi dei richiedenti asilo. Gli spostamenti, di dimensione spesso biblica, si registrano dai Paesi in via di sviluppo, ma sono accolti per l’86% in Paesi del cosiddetto Terzo mondo. Nel 2013, stando ai dati forniti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, i migranti forzati sono stati 51,2 milioni (6 in più rispetto al 2012 e 9,2 in più rispetto al 2011). 33,3 milioni appartengono alla categoria degli sfollati all’interno dei territori nazionali; 16,7 milioni sono rifugiati internazionali, il cui status è stato riconosciuto; 1,2 milioni sono dei richiedenti asilo in attesa di una risposta.

Si reputa a torto che la direzione di marcia del fenomeno si orienti verso i Paesi del Nord del mondo, ma la verità depone per il contrario. Siamo forse più sensibili al problema in ragione del nostro egoismo, dell’individualismo che ci caratterizza ad oltranza, del geloso possesso del nostro benessere a scapito delle fondamentali esigenze di vita di tanti sventurati.

I principali Paesi di origine dei flussi risultano nel 2013 l’Afghanistan (2.556.6009, la Siria (2.468.400), la Somalia (1.121.700), il Sudan (649.300), la Repubblica democratica del Congo (499.500), il Myanmar (479.600), seguiti da Iraq, Colombia, Vietnam, Eritrea. Per quanto concerne i principali Paesi d’accoglienza figurano via via il Pakistan (1.616.500), col più alto numero assoluto di arrivi in relazione alla capacità economica,l’Iran (857.400), il Libano (856.500), la Giordania (641.900), la Turchia (609.900), il Kenya (534.900) e a seguire Ciad, Etiopia, Cina, Usa (263.600). Pakistan e Iran attraggono chi proviene dall’Afghanistan; Libano, Giordania e Turchia quanti fuggono dalla Siria, il Kenya dalla Somalia. In Europa pertanto si registra l’afflusso di piccole frange di una catastrofe umanitaria. In particolare c’è stato un massiccio esodo verso il Libano, pari al 20% degli abitanti.

Le lacerazioni prodotte dal conflitto balcanico hanno messo in rilievo l’afflusso in Montenegro. Malta, accusata di scarsa sensibilità verso il diritto d’asilo, sopporta un carico tra i maggiori al mondo rispetto al numero degli abitanti e alle risorse disponibili. Nei 38 Paesi d’Europa (2013) sono state prodotte 484.600 domande d’asilo con un incremento del 32%; ma l’Europa meridionale annovera in totale solo il 3,56% dei rifugiati del mondo.

L’Italia con 28.700 domande ricevute ha conosciuto un incremento sensibile, peraltro meno di un terzo delle richieste fatte alla Germania (109.600). Vistoso nell’accoglienza il coinvolgimento della Turchia (610.000 casi). La Svezia precede largamente l’Italia (114.000 rifugiati rispetto ai nostri 78.000).

Purtroppo chi chiede protezione fino a prova contraria figura come persona sospetta. Così la mancanza di una cittadinanza ne fa dei senza patria nel mondo. I criteri di accettazione si fanno sempre più selettivi, le modalità più rigide e meno generose, ridotti i benefici. Da gruppi di persone meritevoli di protezione i rifugiati vengono assimilati a migranti internazionali non autorizzati.

Il diritto d’asilo è stato contemplato nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nel 1967 c’è stata un’estensione del Protocollo. La Convenzione di Dublino non dà risposte adeguate. Così si è giunti al massimo punto di tensione tra interessi degli Stati nazionali e tutela dei diritti umani. Noi abbiamo assunto un impegno senza precedenti per il salvataggio dei profughi nello stretto di Sicilia, non altrettanto si può dire per l’accoglienza, l’integrazione. Il ripiegamento su Triton fa lamentare un modesto coinvolgimento degli altri Paesi europei. L’impegno finanziario si è ridotto a un terzo dei dieci milioni di euro al mese stanziati finora; la sorveglianza è limitata a 30 miglia marine e si accentua l’enfasi sulla lotta al traffico di esseri umani. Effettivamente si postula una migliore gestione europea del diritto d’asilo, con un rafforzamento delle misure di reinsediamento.

In Italia, mentre il salvataggio in mare funziona, non altrettanto si può dire per accoglienza e integrazione. E manca una legge organica sull’asilo. Perciò di fronte all’incertezza sul futuro, alla passività, alle giornate vuote e senza senso, al lavoro nero e saltuario, alla notevole dipendenza assistenziale bisogna pensare a validi progetti di formazione, di avviamento al lavoro, di integrazione nelle società locali.

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