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Opinioni

IL VELO EREDITATO

VINCENZO CIARAFFA - 17/04/2015

HIJABAnnullando una propria sentenza del 2003, la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che alle insegnanti di fede islamica non potrà essere impedito di portare il velo, o hijab, a scuola, quello che copre i capelli e che, però, non deve confondersi con il burka che, invece, è la totale estromissione fisica dalla società di una donna in quanto tale. Ebbene, per un rapido excursus su di una controversa tradizione, siamo partiti da questa sentenza perché essa ci dà la possibilità di fare, speriamo, un po’ di chiarezza sul velo delle donne musulmane mediante un’oggettiva analisi storica che, dopo aver accantonato tutti i preconcetti religiosi e ideologici, si sforzerà di guardare unicamente ai fatti

Per quanto sorprendente possa sembrare ai nostri lettori, per spiegare e capire perché le donne di religione musulmana portino il velo bisogna ricorrere ai versetti 7, 36 e 50 del Vangelo di Luca: “Un fariseo invitò Gesù a mangiare con lui. Egli entrò in casa sua e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice (prostituta) di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; fermatasi dietro a lui, si rannicchiò ai suoi piedi e cominciò a bagnarli di lacrime; poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato…”. Sempre stando a quanto riportato da Luca, mentre ciò avveniva, il padrone di casa se ne mostrò scandalizzato perché la frizione dei piedi maschili con acqua e successiva asciugatura con i capelli da parte di una donna era uno dei preliminari sessuali cui ricorrevano le prostitute del tempo. E non soltanto di quel tempo come appresso vedremo.

L’incontro della donna di vita, nota a noi come Maria Maddalena, e Gesù si svolse nella Giordania di 2048 anni fa, e cioè in una regione di lingua, costumanze e tradizioni aramaiche, esattamente come lo era la maggior parte dei popoli che per prima si convertirono all’Islam e che sarebbero diventati poi cittadini dell’Arabia Saudita, della Turchia, della Siria, dell’Iran, Iraq, della Giordania, del Libano e – nonostante l’accesa diversità religiosa – della stessa Israele. Come dire che, quali fossero le diversità religiose sopravvenute dopo Cristo, i popoli del ceppo aramaico conservarono le medesime tradizioni e gli stessi tabù, sicché sia i musulmani, sia gli israeliti ortodossi, sia i popoli di religione copta che addirittura parlano ancora l’aramaico, ritenevano fosse scandaloso per una donna andare in giro a capo scoperto, con i capelli al vento, al pari delle prostitute: era come se oggi una donna occidentale se ne andasse in giro col bacino nudo. D’altronde, anche per i popoli dediti al cattolicesimo, che era una derivazione dall’ebraismo, e che avevano subito per un certo tempo l’influsso o il dominio dei musulmani la cui religione era, a sua volta, derivazione sia dell’ebraismo, sia del cristianesimo, le donne andavano in giro se non col velo certamente a capo coperto. Ciò perché, anche se non musulmane, esse avevano appreso dai conquistatori col turbante che non coprirsi i capelli significava apparire delle poco di buono se non addirittura “disponibili”. Questo spiegherebbe anche l’origine e l’evoluzione della mantilla in Spagna e dello scialle nero in testa nell’Italia meridionale.

E, poi, immaginiamo che qualcuno dei nostri lettori si sarà chiesto, almeno una volta perché, perché ancora oggi le donne di fede cattolica prima di entrare in chiesa si coprono il capo con un velo. Tale usanza, evidentemente, nasce dal fatto che anche per la tradizione cattolica la chioma muliebre sciolta era ritenuta peccaminosa e, quindi, andava “nascosta” sotto un velo e anche soltanto quest’usanza crea una correlazione tra i riti ebraici, musulmani e cristiani più forte di quanto gli interessati siano disposti ad ammettere.

Anche la legge ebraica, ad esempio, impone agli uomini e alle donne di coprire il capo durante la preghiera in ossequio ad una chiara prescrizione del Talmud: “Copriti il capo in modo che il timore del cielo sia su di te”. Era, dunque, fatale che essendo egli un ebreo educato nelle scuole giudaiche, anche San Paolo si ponesse il problema di definire la figura della donna nella nascente comunità cristiana e lo farà, né più, né meno come lo faranno i musulmani sette secoli dopo “Non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo, per questo deve avere sul capo un segno di autorità …”. È chiaro che San Paolo non stesse parlando del velo come simbolo religioso ma come segno di sottomissione delle donne agli uomini. Pertanto, quando noi occidentali ci domandiamo dove nasca la millenaria conflittualità che oppone il mondo islamico a quello ebraico e cristiano, sarebbe un buon inizio andare a leggere che cosa prevede anche il Corano per le donne: “Le vostre spose per voi sono come un campo. Venite pure al vostro campo come volete…”. Ebbene, è evidente che sulla posizione delle donne nella società e sul velo le uniche tre religioni monoteiste esistenti al mondo la pensano allo stesso modo!

Con tali precedenti non deve meravigliarci, dunque, se donne di fede e tradizione islamica prediligono il hijab in testa laddove nello stesso circuito storico e culturale, come in Somalia, ancora oggi le prostitute intrattengono i loro clienti partendo da preliminari sessuali che risalgono al tempo di Gesù e che hanno per protagonisti quei capelli femminili, che esse preferiscono tener nascosti per pudicizia, per differenziarsi dalle prostitute. Chi scrive non ha mai guardato – come s’inclina invece a fare oggi – con acritica indulgenza all’Islam e a molte delle sue medioevali usanze e, tuttavia, con tali precedenti storici non è proprio il caso di andare a puntare il dito contro una tradizione, quella del velo, che i musulmani hanno ereditato dagli ebrei e da noi cristiani.

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