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Attualità

LA RETORICA DI EXPO

MARIO AGOSTINELLI - 24/04/2015

expoCome ci ricordano i sempre più frequenti spot pubblicitari, manca davvero poco all’inizio ufficiale dell’Expo. Sarà una grande fiera certo! Ma qui ci concentreremo sul tema: “nutrire il pianeta”, rimandando ad un appello di studiosi e artisti per dare più evidenza nella manifestazione al tema “energia per la vita” (v.http://www.energiafelice.it/expo-energia-per-la-vita/ ).

Aldilà del cibo, del gusto, del valore culturale di ciò che mangiamo nel piatto, c’è il pianeta che “ci ospita”, che fornisce tutto quello che ci alimenta, che ci scalda, che ci fa muovere.

Il primo pensiero va quindi alla Terra che calpestiamo con pazzesca incoscienza. Il suolo fornisce da sempre all’uomo la “base” per la produzione agricola e zootecnica, per lo sviluppo urbano e degli insediamenti produttivi, per la mobilità di merci e persone. Ma è anche la dimora ed il rifugio di una moltitudine di altre forme viventi e le sue caratteristiche e funzioni sono essenziali per la nostra sopravvivenza sul Pianeta. Tuttavia non riusciamo ancora a comprenderne pienamente il valore.

Negli ultimi anni l’agricoltura italiana ha visto sempre più mancare la terra sotto i piedi, la cementificazione del territorio ha eroso negli ultimi cinquant’anni 8 milioni di ettari di coltivazioni: una superficie pari all’intera regione Umbria.

Il secondo pensiero va a chi coltiva la terra. Dietro del buon cibo non ci sono business plan, ma ci sono persone che hanno lavorato e oltre alle braccia (alla fatica) ci hanno messo saperi, cuore e passione e spesso sono ridotti in condizioni miserevoli, come ricorda la piaga dello sfruttamento degli emigrati nei campi del Sud.

Il terzo pensiero va alle cosiddette filiere agroalimentari sviluppate dalla globalizzazione dei mercati. Le grandi imprese che si occupano dell’intermediazione commerciale su base globale e quelle attive nella distribuzione hanno assunto un ruolo ed un potere enorme, a danno delle imprese agricole. Le prime trattano le derrate di base, i mattoni con cui poi l’industria alimentare produce di tutto, non esiste un mercato di vendita al dettaglio, sono loro che comprano riso, mais, grano e soia, lo stoccano nei loro silos, lo trasportano da una parte all’altra del pianeta per poi consegnarlo a imprese come Nestlè o a governi come l’Egitto.

L’ultimo pensiero va all’agricoltura. La rivoluzione “verde”, quella della meccanizzazione, dei fertilizzanti e dei fitofarmaci, delle sementi sempre più vigorose, delle monoculture, delle specializzazioni, produce sì molto, ma prende risorse ancor più voracemente e produce scarti come una qualsiasi industria.

Provoca, se consideriamo l’intero processo di produzione degli alimenti, dal 44 al 57% del totale delle emissioni di gas ad effetto serra.

Il rapporto tra acqua e cibo, infine, è speciale, perché nessuna filiera produttiva esprime un fabbisogno o un consumo di una risorsa naturale quanto quella alimentare. Eppure ciascuno di noi, quando pensa a risparmiare acqua pensa a quella che scorre dai rubinetti di casa. Ma il 90% dell’acqua che consumiamo viene dal cibo, quindi il patrimonio idrico è nelle mani di chi coltiva la terra.

La globalizzazione è stata sposata senza fare i conti con cosa significhi rompere il legame fra un territorio e la sua produzione alimentare, illudendosi che sia possibile consumare all’infinito. L’agricoltura, occorre ricordarlo, non è una normale attività, perché il cibo non è un optional, è indispensabile: di fame si muore. È fondamentale ricordarlo per evitare di pensare di trattare l’agroalimentare come un qualsiasi attività economica da affidare ai mercati.

È necessario ricordarlo in occasione di EXPO 2015, perché non sia soltanto una vetrina per i ricchi, ma un momento di profonda riflessione sul futuro da costruire per l’intero pianeta.

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