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Politica

FEDERALISMO TRADITO

GIUSEPPE ADAMOLI - 15/05/2015

federalismoC’era una volta il federalismo, almeno la parola, frastornata e surclassata dalla propaganda urlata e dalla confusione. Non la usavo mai, preferivo il termine “regionalismo forte”, ma il concetto era analogo e mi attraeva. Voleva dire un vigoroso sistema delle autonomie locali con un ruolo regolatore, programmatico, legislativo delle Regioni. Purtroppo però gli si attribuiva un valore tutt’altro che univoco che andava dal federalismo comunale al secessionismo.

Due paradossi. Il federalismo comunale perché senza un certo grado di autonomia legislativa non è federalismo. Il secessionismo perché il federalismo storicamente unisce dentro uno Stato, non separa da uno Stato. Una confusione alimentata dalla Lega (che pure aveva avuto il merito di riportare in primo piano questa questione istituzionale) ma che aveva coinvolto anche l’Ulivo responsabile della riforma del 2001 che affidava alle Regioni alcuni poteri propriamente statali e che non riconosceva la necessaria clausola dell’interesse nazionale.

Oggi, non solo il termine “federalismo” è stato quasi rimosso dal vocabolario politico ma è coperto da pesante diffidenza popolare. Non serve compulsare i sondaggi d’opinione per capire che le prossime elezioni regionali vedranno un’astensione altissima. Oltre alla riforma del 2001, la responsabilità ricade sugli amministratori regionali che soprattutto negli ultimi tempi hanno compiuto tanti errori e messo in luce un senso etico molto discutibile.

Ma perché prendersela con l’Istituzione in quanto tale? La classe dirigente delle Regioni è selezionata e prodotta dai partiti e scelta dagli elettori (preferenze) più di quanto non avvenga per il Parlamento. Infatti difetti e pregi del personale politico si equivalgono a Milano come a Roma. Fatto sta che sta prendendo piede una suggestione centralista che mi preoccupa molto. Non si governa soltanto dal centro una società complessa e molto differenziata come la nostra. L’indebolimento delle Regioni comporta una ricaduta negativa su tutto il sistema delle autonomie. Se qualche sindaco immagina che Regioni più deboli significhino Comuni più forti si illude fortemente.

La riforma costituzionale in corso correggerà alcuni eccessi di potere regionale della riforma del 2001 ma corre il rischio di riportare troppe funzioni a Roma e di ridurre le Regioni ad enti di quasi solo decentramento amministrativo con scarsa autonomia politica. È necessaria una correzione della riforma. Bisogna far funzionare bene, senza sprechi e duplicazioni dannose, la vita pubblica fra stato e istituzioni locali stabilendo bene le competenze di ciascuno senza lasciare zone grigie.

La nuova legge elettorale potenzia molto il governo centrale e questo impone che si riveda l’equilibrio dei poteri della Repubblica con dei forti contrappesi istituzionali. Due contrappesi riguardano questa materia. Uno è certamente un sistema delle Autonomie locali capace di una importante funzione dialettica con lo Stato. L’altro è l’irrobustimento del Senato delle Regioni che dipende largamente dalla dignità politica e legislativa che a queste Istituzioni verrà riconosciuta.

Sento però che le Regioni potranno riconquistare la fiducia degli italiani solo se e quando saranno dimezzate nel numero (la Lombardia va bene così) e profondamente razionalizzate. L’ho sperimentato da presidente della Commissione Statuto nei contatti che tenevo in tutta Italia. E dopo le ultime vicissitudini regionali ne sono sempre più convinto.

 

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