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Società

LETTERE DAL CARCERE

FEDERICO QUAGLINI - 12/06/2015

carcereDa oltre venticinque anni mi occupo delle cosiddette “umane povertà”. Tra queste, il “carcere” è stato ed è tuttora tra le priorità nella trasmissione “Luce nella Notte” che va in onda ogni sabato sera dai microfoni di Radio Missione Francescana. Sono cosciente della delicatezza del tema e delle differenti opinioni che si manifestano tra il pubblico degli ascoltatori che mi telefonano o mi scrivono; in alcuni casi anche il loro legittimo dissenso! Devo precisare però che non posso accettare espressioni del tipo: “Teniamoli alla catena questi cani rabbiosi”.

Mi permetto di affermare che la rabbia è dentro le vite di tutti, ma nelle storie degli uomini e delle donne che hanno passato il limite della legalità, e che vivono l’esperienza del carcere, la rabbia spesso è il “filo conduttore” di tutta un’esistenza che può anche trasformarsi in riconoscenza. Ne è la prova quanto scrive il detenuto Tommaso Romeo, nella seguente lettera: “Da ventitré anni in carcere in quanto condannato all’ergastolo ostativo, tutta la mia detenzione l’ho trascorsa nelle sezioni speciali tra cui otto anni al 41bis; gli anni passati al 41bis non hanno fatto altro che far crescere in me la rabbia e in certi casi trasformarla in odio, quegli anni di restrizioni mi hanno spinto a vedere come nemici tutta quella parte di società convinta di aver risolto il problema pensando “teniamoli alla catena questi cani rabbiosi”.
Nel 2009 mi viene revocato il 41bis e arrivo nel carcere di Padova e vengo collocato nella sezione di Alta Sicurezza 1; fin da subito entro in contatto con l’educatrice e volontari, figure che fino ad allora non sapevo neppure che esistessero, perché in sedici anni di detenzione ho solo incontrato agenti penitenziari. Dopo un anno mi iscrivo all’università, ero certo che non avrei dato neppure un esame per gli strascichi dovuti agli otto anni di 41bis, in quanto quel regime ti fa perdere la padronanza nell’esprimerti, perché per anni tutti i giorni oltre a dire le stesse cose al massimo in una giornata usi pochissime parole, ma con l’aiuto dei tutor comincio a dare i primi esami. Poi succede che per mia fortuna salgo sul treno che dà una sterzata alla mia vita, questo treno si chiama “Ristretti Orizzonti”, alla cui guida ci sono persone, che con le parole dette al momento giusto mi hanno aiutato ad abbattere quel muro di rabbia che mi offuscava la mente da tantissimi anni, facendomi riflettere e mettere in discussione le mie convinzioni di una vita lontana.

“Dalla mia esperienza personale posso dire che se anche al detenuto più pericoloso viene data la possibilità di espiare la sua pena in un istituto dove può vivere la sua detenzione in serenità e impegnare il suo tempo in attività utili, invece di lasciarlo chiuso in una cella per ventidue ore, è più facile che quando uscirà sarà un uomo senza rabbia pronto a portare un suo contributo alla società civile. Spero comunque che diventino molte di più le persone che credono e investono anche sui cani rabbiosi”.

È importante raccontare storie di vita che hanno portato in carcere uomini e donne che, invitati rispondere alle domande dei ragazzi delle scuole, si sono sentiti ancora parte della società e dell’ umanità.

In occasione delle attività del “progetto Scuola Carcere”, l’ergastolano ostativo Carmelo Musumeci afferma che nei primi tempi faceva fatica a gestire le sue emozioni quando era davanti ai visi, agli sguardi, agli occhi dei ragazzi. Confessa che probabilmente condizionato da decenni d’isolamento sociale totale, in un primo tempo durante questi incontri stava male, si sentivo impreparato, senza difese, fragile e a volte si vergognava. Adesso però va un po’ meglio” e afferma: “Ormai questi incontri mi danno tanta forza per continuare a scontare la mia pena che non finirà mai. Vi svelo che solo davanti a loro ho iniziato a sentirmi in colpa per le mie scelte di vita sbagliate e credo di avere imparato più da loro che dalle pareti della mia cella o dalle sbarre della mia finestra. Mi sono anche accorto che il senso di giustizia dei giovani è molto più avanti di quello degli adulti. Le parole di questi ragazzi mi hanno spesso riempito il cuore e la cella di dubbi, senso di colpa, conforto, tenerezza e amore sociale”.

Alla domanda di una ragazza durante un incontro, Carmelo Musumeci ha risposto: “L’ergastolano si chiede spesso perché deve continuare a vivere anziché farla finita con una vita che tanto spesso è un inferno. E ammazzarsi non è affatto una domanda, ma una risposta”. In a un ragazzo ha risposto: “Spesso si è cattivi quando manca una via di scampo, non hai alternative e ti senti impotente. Ed in tutti i casi è difficile rimanere umani quando ti chiudono dentro una cella, per un quarto di secolo, a doppia mandata e buttano via le chiavi”.Alla domanda di una insegnante ha risposto: “ …Amo tanto i miei figli perché sono tutto quello che io non sono riuscito ad essere…”. E a un altro ha risposto: “Probabilmente è giusto che la società ci punisca e ci chiuda in una cella, ma se non vuole diventare una società crudele e cattiva è meglio che un giorno si ricordi di aprire la cella”.

A settembre s’inizierà di nuovo il “progetto scuola carcere” e, sicuramente, Carmelo, Tommaso e altri ancora si ritroveranno di nuovo davanti ai loro “giudici” molto più giovani, umani e sensibili di quelli che li hanno condannati a essere cattivi e colpevoli per sempre. A buon intenditor…

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