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Spettacoli

ADDIO A SHARIF, ATTORE E GIOCATORE

MANIGLIO BOTTI - 17/07/2015

sharifL’uscita di scena di Omar Sharif non rappresenta solo la perdita di un grande attore, di un riferimento divistico del cinema degli anni Sessanta, soprattutto, e Settanta, ma l’addio a un’icona del romanticismo. E per noi italiani, forse, anche la scomparsa di un mito latino e di una maschera sempre uguale a sé stessa ma altrettanto affascinante – gli occhi neri e profondi, lo sguardo un po’ tenebroso, i baffi folti, prima neri e poi sale e pepe – quali soltanto un tipo meridionale avrebbe potuto sfoggiare. Qualcosa di nostro, insomma.

Omar Sharif era nato in Egitto, al Cairo, 83 anni fa (il suo vero nome era Michel Shalboug), e in un ospedale del Cairo, dopo decenni di successi, si è spento colpito da un infarto ma ormai da tempo in ombra e in lotta, a detta del figlio, contro il morbo di Alzheimer. Ma poteva essere nato a Napoli o ad Agrigento. Un personaggio, più che del nostro cinema, magari della nostra Italia antica e popolare. E per questo, probabilmente, a un’Italia romantica e demodé, ma anche elegante e in un certo senso aristocratica Omar Sharif, il divo internazionale, era legato o lo si sarebbe voluto legare.

Sono centinaia i film in cui, nella sua lunga carriera cinematografica, Sharif è stato presente o protagonista. Ma la sua immagine rimarrà per sempre legata alle ultime sequenze del film “Il dottor Zivago”, quando chiuso nello scompartimento di un treno in partenza scorge dal finestrino la sua Lara-Julie Andrews. Quasi un’apparizione, l’ultima volta che la vedrà. E Zivago-Sharif, che cerca in ogni modo di richiamarne l’attenzione picchiando sul vetro, si sente mancare il fiato, si slaccia il colletto della camicia, sta per svenire, si accascia. Sequenze banali, raccontate così.QQ Eppure solo Omar Sharif sa dare loro una configurazione, più che romantica, di eterno dolore. In questo, forse, anche in questa manifesta disperazione s’intravede una sua latente italianità, che tuttavia ormai – purtroppo? – fa solo parte di una certa letteratura, perché anche da noi la cinica realtà ha preso il sopravvento sul sentimento, a volte spettacolare ed esibito, ma sempre commovente e sincero.

L’altro film di cui si deve parlare, precedente a “Il dottor Zivago”, e a tanti altri (Funny girl, Mayerling, E venne il giorno della vendetta e altri cento ancora…) è “Lawrence d’Arabia”. Fu il film – siamo agli inizi degli anni Sessanta – che gli diede, nell’interpretazione dello sceicco Alì, la grande notorietà. Ma in quel caso il grande protagonista fu Peter O’Toole, biondo, occhi celesti, volto quasi efebico, che dava vita sullo schermo al colonnello Lawrence. Sharif-Alì ne rappresentava il “contraltare meridionale”. Per la parte dello sceicco Alì, magistralmente interpretata, tuttavia, Sharif ottenne la nomination all’Oscar.

L’altra grande passione di Omar Sharif, oltre a quella del cinema e della seduzione, naturalmente, e alla sua naturale eleganza, fu il gioco delle carte. Non soltanto il poker e altri giochi d’azzardo. L’attore, che qui faceva valere le sue ottime conoscenze matematiche, fu un maestro del bridge. Di tutti i giochi al tavolo verde, il bridge è uno dei pochi in cui meno partecipa la fortuna e maggiormente l’abilità, la competenza; e la fantasia anche. Sulle sue partite di bridge Omar Sharif, alcuni anni fa, scrisse un libro di memorie e di ottimo successo, non soltanto tra i lettori giocatori.

E anche in questa passione nata soprattutto alla metà degli anni Sessanta, quando più sfolgorante era il suo successo di attore di cinema, potremmo ritrovare un poco della sua “nascosta” italianità. Sono quelli gli anni, infatti, in cui la squadra italiana di bridge – il famoso Blue Team – si imponeva a livello mondiale contro i britannici, che erano stati gli ideatori e da sempre i promotori del gioco, e contro gli americani. Una volta, si racconta, la squadra inglese impegnata contro gli “azzurri”, squadra di cui faceva parte il famosissimo Terence Reese, autore di prontuari e manuali, fu addirittura sorpresa a barare. Cosa che per un bridgista è un vero scandalo…

Dei giocatori italiani (pensiamo a Forquet, a Garozzo, a D’Alelio, a Belladonna e ad Avarelli, a Camillo Pabis-Ticci…), Omar Sharif condivideva non soltanto la bravura e l’abilità, ma la fantasia e la creatività. Anche qui, dunque, un “vero” indecifrabile italiano si celava dietro a quello sguardo misterioso e a quei baffoni scuri. Almeno al tavolo da gioco. E nel lungo sogno del cinema.

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