Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Opinioni

POLITICA NUOVA

ROMOLO VITELLI - 21/01/2012

La scorsa settimana Ernesto Galli della Loggia ha scritto sul Corriere della Sera che “se il governo Monti concluderà con successo il suo compito nulla sarà come prima nella politica italiana.” Io mi auguro che il governo Monti naturalmente concluda con successo il suo mandato; ma indipendentemente dall’esito finale, vorrei dire che, in ogni caso, ad appena due mesi dal suo insediamento, già oggi nulla è come prima. Dalle dimissioni di Berlusconi tante cose sono cambiate nella politica interna e in quella estera dell’Italia.

Con i suoi interventi parlamentari e televisivi Mario Monti ha introdotto tante e tali novità da far sembrare la fase politica che stiamo finalmente vivendo come il passaggio di un`epoca: la fine della stagione berlusconiana e l’apertura di una fase politica nuova. Monti, intervistato da Fazio a “Che tempo che fa”, ha fatto registrare un ascolto record con punte di circa otto milioni di spettatori. Con un linguaggio chiaro e di verità senza l’intenzione di sedurre né imbonire i telespettatori, come eravamo abituati al tempo di Berlusconi, ha trattato i problemi economici e sociali italiani con competenza, serietà e chiarezza dopo venti anni di bugie, di panzane e di illusionismi. Sono bastati un paio d’incontri di Monti con i leader europei per restituire quel rispetto e quel ruolo all’Italia che l’epoca berlusconiana aveva immiserito e ridicolizzato con le barzellette e le corna, i cucù alla Merkel e i “bunga, bunga”.

La statura internazionale del nostro presidente del Consiglio, la sua padronanza delle lingue straniere più diffuse, la sua conoscenza approfondita della finanza, dell’economia, degli organismi e delle strutture dell’Europa comunitaria, hanno ridimensionato Sarkozy e Merkel e cominciato a incidere nelle decisioni della comunità. Questi due partner europei, abituati a confrontarsi con Berlusconi, Frattini, e altri, e che sembravano, agli occhi smarriti dei cittadini italiani, dei grandi statisti, ora, a confronto con il nostro presidente del Consiglio, appaiono nella loro realtà: dei mediocri governanti di una destra europea, che ha non poco contribuito ad affossare l’idea di un’Europa coesa, politicamente ed economicamente forte.

Del resto alcune proposte alternative alla politica Merkel-Sarkozy, per rafforzare gli Istituti europei erano state avanzate dal nostro premier sin nei primi incontri con i dirigenti della Comunità e sono state riaffermate in modo deciso in occasione dell’ultimo declassamento del rating dell’Italia e di molti paesi della Comunità, Francia compresa. Monti e Napolitano hanno invitato la Merkel e Sarkozy, al fine di battere la speculazione e rafforzare l’area dell’euro, a procedere senza esitazioni sulla strada dell’unità politica e dell’effettiva unione economica. Grazie a Monti oggi l’Italia non è più il problema dell’Eurozona, ma parte della sua soluzione, come ha detto recentemente il nostro ministro degli Esteri Giulio Terzi.

Insomma, il nuovo presidente del Consiglio, in appena due mesi dal suo insediamento, sta dando segni evidenti di discontinuità politica rispetto al passato governo. Ma la discontinuità appare evidente non solo sulle questioni di politica estera, nella rapidità delle decisioni assunte, nel rispetto delle prerogative del Parlamento e delle parti sociali, ma soprattutto nel modo come Monti si rapporta e comunica con le forze politiche e con i cittadini. È un tipo di comunicazione completamente nuova, che sta cambiando il senso stesso della propaganda e della lotta politica nel nostro Paese. Intanto per la prima volta tutti riescono a capire di che cosa si sta parlando per il semplice fatto che il “professor Monti,” abituato a dialogare con gli studenti e non solo, conosce le regole basilari della comunicazione, che esige che “chi spiega – come diceva Lord Rutherford – deve essere capace di spiegare qualsiasi problema anche alla ragazza che serve al bar”.

Guardiamo ad esempio come si è mosso Monti sulla questione dell’evasione fiscale nel discorso di Reggio Emilia. Il presidente del Consiglio ha difeso, contrariamente alla Lega e a Berlusconi, senza se e senza ma, il blitz della finanza a Cortina, spiegando con calma invidiabile che si tratta di una prassi normale nel resto del mondo civile e quindi non dovrebbe sollevare questo enorme scandalo in un paese dove l’evasione fiscale supera i 150 miliardi l’anno. Ma come si è arrivati a questa colossale evasione? Il governo di centrodestra, per limitarci all’epoca berlusconiana, in questi ultimi venti anni, ha fatto un patto con i contribuenti, almeno con una certa parte di essi: “Tu mi voti e io non metto il naso nei tuoi affari economico-finanziari su tasse e ricevute varie.” Quindi niente controlli, e giù evasioni ed elusioni e condoni. Risultato: a pagare le imposte sono sempre i soliti noti.

Da anni si parla di riforma fiscale, ma su questa questione non si venuti ancora a capo, perché? Perché le riforme non sono a costo zero, ma esigono un prezzo sia da parte di chi le promuove, e sia da chi le subisce. Chi le promuove deve sapere che deve pagare un prezzo in termini d’ impegno e lotta politica seria per promuovere alleanze politiche e isolare nel Paese gli evasori e i suoi alleati, rendendo il problema dell’equità fiscale un problema ineludibile agli occhi della gente; chi le subisce sa che deve pagare un prezzo, perché riformare il fisco in termini di equità fiscale significa riequilibrare un settore che ha assicurato ed assicura loro rendite di posizione e privilegi. E in caso di riforma del settore significherebbe, se non la fine, almeno una qualche forma di perdita, di rinuncia a queste rendite. E gli evasori, pur non di rinunciare ai propri profitti, si coalizzeranno tra loro e lotteranno con le unghie e con i denti per non perdere i privilegi acquisiti furtivamente, ricattando i propri protettori politici e reclamando lo status quo, pena il non voto e il rifiuto di finanziamenti occulti ai partiti. Da qui gli interventi governativi dei politici berlusconiani, amici degli evasori, volti a revocare i provvedimenti restrittivi in fatto di contrasto all’evasione adottati, ad esempio da Prodi e Visco, sulla tracciabilità delle operazioni finanziarie e a favorire i condoni fiscali a ripetizione. Ma la politica berlusconiana in fatto di fisco non si è limitata al “lasciar fare” e al “lasciar passare,” ma ha cercato anche di dare una giustificazione ideologica all’evasione fiscale, facendo diventare l’idea di cittadinanza ( che com’è noto comprende diritti e doveri di solidarietà, e che per ciò, nel nostro caso, esige, da parte del cittadino, il pagamento delle imposte per poter assicurare i servizi sociali) “come una rapina dello Stato ai danni dei cittadini.”

Di qui l’abile e mistificante e assordante propaganda berlusconiana volta a giustificare gli evasori con affermazioni: “Se c’è un’aliquota al 50% io mi sento moralmente autorizzato a evadere le tasse!” E l’altro famoso e subdolo slogan: “Mai e poi mai noi metteremo le mani nelle tasche degli Italiani,” che è stato uno dei cavalli di battaglia utilizzato dal Cavaliere ben dodici volte solo negli ultimi dodici mesi. Come si è mosso Monti, nell’aprire il fronte nella lotta all’evasione fiscale?

Ha agito in modo differente sia rispetto a Padoa Schioppa, che pure in passato, il 7 ottobre 2007, aveva criticato la polemica berlusconiana contro le tasse, definendola “irresponsabile”, e aggiungendo: “Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente”; sia rispetto al centro-sinistra che una vera lotta contro l’evasione fiscale non l’aveva mai fatta del tutto coerentemente sia quando era al governo che dall’opposizione, come ha più volte ricordato recentemente anche lo stesso Visco. Anzi l’opposizione unita ha utilizzato, anche se per contestarlo, lo stesso slogan berlusconiano (“Berlusconi ha messo e come le mani nelle tasche degli Italiani!”). Non rendendosi conto che usando lo stesso linguaggio avrebbe confermato e rafforzato l’idea berlusconiana, secondo cui: “imposte e tasse siano scippi e furti e che i governanti, chiedendo ai cittadini di partecipare alle spese pubbliche, si comportino da delinquenti.” (Da questo purtroppo si può vedere come i guasti del berlusconismo siano penetrati profondamente nella società, sino a contagiare persino il linguaggio politico dell’avversario).

Con serenità e fermezza, il Professore, approfittando di un momento politico favorevole, complice la crisi, e con l’opinione pubblica non ostile, è andato al cuore di questo pilastro del pensiero berlusconiano demolendolo, come nessuno aveva mai osato fare, ribaltando lo slogan e mostrando come non sia lo Stato a mettere le mani nelle tasche degli italiani, ma sono “gli italiani evasori a mettere le mani nelle tasche dei contribuenti onesti”. Così dopo averne mostrato i meccanismi perversi, lo ha ritorto contro l’ideatore a tal punto che Berlusconi non potrà più usarlo per giustificare l’evasione fiscale.

Che il colpo sia andato a segno lo dimostra la reazione stizzita e rabbiosa di Berlusconi e del centrodestra, Lega compresa. Ma la discontinuità tra il suo governo e quello del centrodestra la si è vista clamorosamente anche in occasione del caso delle dimissioni del sottosegretario Malinconico. Il “governo dei tecnici” ha infatti compiuto un atto politico significativo facendo dimettere Malinconico che non era nemmeno indagato, proprio nel giorno in cui il partito di Berlusconi e Alfano, e in parte la Lega di Bossi, alla Camera salvava dal carcere, con una votazione segreta, salutata con una rozza e sconveniente manifestazione di giubilo, ancora una volta, un suo esponente, Nicola Cosentino, accusato dai magistrati di Napoli di convivenza con la camorra.

C’è chi dice che se Monti marcerà così spedito per altri due mesi sulla strada del rinnovamento “ l´intera politica italiana finirà nell’archivio delle immagini in bianco e nero.” E c’è chi volendolo impedire farà di tutto per mettere in crisi il governo Monti e andare a elezioni anticipate con il porcellum. Certo la politica italiana sinora ha fatto di tutto per evitare di rinnovarsi e riformarsi; ma oggi anche i demagoghi come Bossi e Di Pietro debbono sapere che i margini politici sono molto ridotti: in primavera in Europa ci saranno 1200 miliardi di titoli pubblici in scadenza e ci sarà poco da scherzare con i mercati pronti alle speculazioni finanziarie; inoltre nessun dirigente politico potrà far finta di non vedere che l’antipolitica sta ormai montando come non mai nel nostro Paese. Il rapporto Demos, pubblicato la scorsa settimana, fa dire al sociologo Ilvo Diamanti: “Colpisce il livello – davvero basso – raggiunto dai principali attori su cui si fonda la democrazia rappresentativa. Per primi, i partiti, a cui credono meno del 4 per cento dei cittadini”.

Monti sta portando avanti coraggiosamente la sua lotta per le liberalizzazioni e le riforme. Comunque finisca, questo tentativo del suo governo mostrerà finalmente al Paese, che è fortemente a favore di questa iniziativa (come tutti i sondaggi dimostrano), chi è davvero a favore e chi contro, chi è liberale e chi no. Ma una cosa è certa, se Monti dovesse cedere alle pressioni delle corporazioni, delle lobby e del centrodestra e fallire, niente sarà come prima, il tempo delle manfrine è finito. Questa volta o i partiti saranno in grado di operare un grande rinnovamento e non solo generazionale, o saranno spazzati via definitivamente e questo non potrà che essere un danno per la democrazia che ha bisogno di una classe dirigente onesta, trasparente, competente ed efficiente per sopravvivere.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login