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Opinioni

IL PROF IN CLASSE NELL’ERA DI INTERNET

ROMOLO VITELLI - 30/11/2012

“Prof, che ci fa in classe nell’era di internet?”. Questa domanda cinque anni fa è stata discussa da Umberto Eco in una “Bustina di Minerva”, su l’Espresso; ma potrebbe essere oggi, con lo sviluppo esponenziale assunto dal web, a maggior ragione, un quesito ricorrente nella testa di qualsiasi ragazzo, che passa buona parte del suo tempo navigando in rete.

 Però questa domanda, riflettendoci bene, non è né oziosa, né del tutto vera, né piovuta dal cielo, ma allora che cos’è e da dove viene? Essa è una mezza verità, figlia di una distorta concezione dell’insegnamento che alberga nella testa di non pochi alunni, genitori ed insegnanti e nasce dalla convinzione che la scuola in sostanza debba fornire soprattutto nozioni.

Non sono pochi quelli che ancora oggi pensano che la “famiglia educa e la scuola istruisce”. Chi è convinto di ciò ritiene che l’insegnante abbia il compito precipuo di riversare il sapere in quei vasa receptionis, cioè in quei recipienti che, secondo la nota definizione cristiana di San Paolo, sono i discenti, per farne delle “teste ben piene”.

 Del resto il compito della scuola è stato da tempo immemorabile finalizzato ad impartire “anzitutto nozioni” – come ci ricorda Eco nella “bustina” in questione - “dalle tabelline nelle elementari, alle notizie sulla capitale del Madagascar nelle medie, sino alla data della guerra dei trenta anni nel liceo”.

 La diffusione dei mass media (giornali, televisione, cinema, e soprattutto internet) ha fatto sì che oggi molte cose si imparino non dai libri, non a scuola, ma per averle lette, viste o sentite prima da quella “scuola parallela” rappresentata dai mass media; ne consegue che gran parte delle nozioni, che la scuola pur con una certa fatica una volta riusciva a trasmettere, oggi sono squadernate con un semplice click su Google. E’ questa nuova realtà che spinge lo studente a rivolgere la provocatoria domanda: “Ma prof, che ci fa in classe nell’era di internet?”

La domanda affonda le sue radici in una visione della cultura come possesso di “un magazzino ben fornito di notizie”. Quindi essere colti, per quello studente significa avere immagazzinato una serie di nozioni, avere cioè una “testa ben piena”.

Ma questa non è cultura, ma una forma di pessima erudizione. Già Montaigne verso la fine del Cinquecento, epoca in cui essere eruditi era ancora un valore assoluto, amava dire: “Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.

 Credo che a questo punto sia il caso di porsi alcuni interrogativi di fondo e chiedersi: “E’ veramente finita la funzione dell’insegnante nell’era di internet? A che servono i professori e la scuola nel Terzo Millennio”?

Prima di rispondere però ai quesiti posti è necessario fare il punto brevemente sulle novità intervenute nella realtà sociale e scolastica del nostro tempo. Ciò permetterà, per certi aspetti, di comprendere il senso dei mutamenti intervenuti nella nostra società con lo sviluppo assunto dai mass media, da quelli tradizionali ai new media, in un contesto che è stato definito di “cyber society”, di “società di rete”, di “società dell’informazione”.

 Questa riflessione pregiudiziale consentirà di ridefinire meglio il compito che la scuola nel suo complesso e i professori in particolare dovranno avere per svolgere in modo adeguato le funzioni gravose e complesse che li attendono in questa nuova fase storica.

E’ noto che in questi ultimi tempi, con l’avvento della società globalizzata multimediale, gli scenari delle fonti della comunicazione e della trasmissione del sapere sono profondamente cambiati. Questa nuova realtà fa dire a Raffaele Simone, prof. di filosofia del linguaggio, che con l’avvento di tv e computer è finita la lunga epoca del “sapiens” che si formava soprattutto leggendo e immagazzinando nozioni a scuola. A realizzare un cambiamento così importante sono stati prima la televisione e poi i computer. “Questi ‘elettrodomestici gentili,’ si stanno rivelando per quel che sono: i più formidabili condizionatori di pensiero, non nel senso che ci dicono cosa pensare, ma nel senso che modificano in modo radicale il nostro modo di pensare, trasformandolo da analitico, strutturato, sequenziale e referenziale, in generico, vago, globale ed olistico; mentre la scuola educa all’analiticità, al controllo linguistico, all’esplicitazione verbale, alla consequenzialità”.

E con queste nuove problematiche che la scuola deve confrontarsi oggi.

Cerchiamo ora di rispondere ai quesiti posti. Il ruolo informativo/formativo dell’insegnante non è finito nell’era di Internet, (se mai è finito perché inadeguato un metodo di informare libresco e mnemonico) semplicemente perché il suo ruolo non è solo quello di informare, ma quello di formare e di educare.

 “Quello che fa di una classe una buona classe” – ricorda U. Eco – “non è che vi si apprendano date e dati ma che si stabilisca un dialogo continuo, un confronto di opinioni, una discussione su quanto si apprende a scuola e quanto avviene di fuori. Certo, che cosa accada in Iraq ce lo dice la televisione, ma perché qualcosa accada sempre lì, sin dai tempi della civiltà mesopotamica, e non in Groenlandia, lo può dire solo la scuola”.

E questo perché sia la tv che internet non ci dicono cosa dobbiamo pensare e come pensare, ma si limitano a darci informazioni e pronunce di nomi stranieri non sempre accurate e corrette.

Clifford Stoll, che dal 1975 ha contribuito a far diventare la rete un fenomeno mondiale, scrive: “Un computer non può sostituire un buon insegnante. Grazie all’elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione di problemi diventa la pressione di tasti”. Oggi gli studenti hanno una competenza informatica e multimediale talvolta superiore a quella dei loro insegnanti, e un bravo docente dovrebbe saper utilizzare queste competenze, e parimenti dovrebbe incentivare nei suoi studenti, la capacità di giudizio e i metodi di ricerca, la capacità di non confondere il reale col virtuale. In questo modo il ruolo del professore verrà potenziato e rivalutato. Perciò la scuola non deve limitarsi solo a dare in forma rinnovata le nozioni, ma competenze perché più che accumulare informazioni quello che conta è saperle collegare, dare loro un senso.

Oggi abbiamo bisogno di una scuola che abitui a pensare, a ragionare, a saper apprendere perché diceva Gramsci: “Cultura, non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri..”.

La scuola del Terzo Millennio deve fornire agli studenti il sapere critico indispensabile per essere persone libere, autonome, responsabili, tolleranti ed inclusive, accettando gli stimoli di punti diversi dai propri e capaci quindi di ascoltare gli altri con un’ottica sempre aperta a più culture, più fedi, più etnie, più linguaggi; tutto ciò al fine di esercitare una cittadinanza attiva e vigile per la crescita umana e civile della società.

La scuola che è un po’ lo specchio di questa nostra società civile immobile, disgregata e senza valori non dell’essere, ma dell’avere, dell’esserci e dell’apparire, ha da tempo smarrito la sua funzione peculiare che è quella della “formazione dell’uomo e del cittadino”.

 Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin, ne “La testa ben fatta”, ci ricorda che lo scopo dell’educazione è di contribuire all’auto-formazione della persona (apprendere e assumere la condizione umana, apprendere a vivere) e insegnare a diventare cittadino. Un cittadino, in una democrazia, si definisce attraverso “la solidarietà e la responsabilità” nel rapporto con i suoi simili.

Quindi non abbiamo tanto bisogno oggi in quest’Italia ‘spaesata’ e smarrita di una “testa ben piena”quanto di una “testa ben fatta”, in grado di reggere le sfide di una società globalizzata, multietnica, multiculturale e multimediale in continua trasformazione, se vogliamo far uscire il nostro Paese dalla palude dove l’hanno confinata.

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