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Attualità

LA FEDE E IL RADICALISMO

LIVIO GHIRINGHELLI - 11/09/2015

coranoIl mondo occidentale si vede sempre più minacciato dal radicalismo islamico, che con la sua guerra santa contro gli infedeli, perseguίta in crescendo nel Medio Oriente, in Afghanistan e in Africa con continue metastasi, mette seriamente in crisi la nostra sicurezza e attenta alla sopravvivenza dei nostri valori, della nostra civiltà. Al proprio interno il succedersi degli attentati terroristici è come il prodromo di una invasione imminente, un allarme quotidiano che ci interroga, fugando ogni sensazione di benessere, svelando l’impotenza di un sistema democratico, che non sa far fronte alle sue responsabilità, perché immiserito nell’individualismo, nella tutela miope del contingente, nell’estremo relativismo dei valori, che si nega a qualunque progetto comunitario grazie a un discutibile concetto di libertà senza limiti. Trionfa l’economia, non la persona e la fame non fa scandalo. Al pericolo imminente si oppone un atteggiamento di rimozione, mentre il nemico è alle porte. L’egoismo degli Stati in sede internazionale non fa altro che dilatare il fenomeno, compromettendo ogni intesa sul piano reattivo.

È il caso però d’operare le debite distinzioni, se si vuole riflettere in positivo sulle caratteristiche di questo radicalismo estremo, non meno pericoloso perché minoritario, all’interno della fede, della civiltà che si rifà alla predicazione di Maometto. Va messo innanzitutto in chiaro il concetto di guerra santa, cui si riconduce. Jihād vale letteralmente come sforzo, impegno ed esprime anche la lotta dell’anima contro i nemici interiori nel segno di un affrancamento dal diavolo e dai propri impulsi; ma è soprattutto da riferire in un primo tempo alla lotta contro gli aggressori, gli apostati, gli idolatri e politeisti, i miscredenti, mentre in seguito si caratterizzerà nel senso di ampliare e arricchire il dominio territoriale degli Arabi sul piano della conquista, sino alla sottomissione del mondo intero alla legge musulmana e quindi agli ordinamenti politico-religiosi di Allah. Il disegno è indubbiamente favorito dalla congiunzione del potere politico-militare con quello religioso.

Alle origini quindi si doveva trattare di una guerra di difesa o almeno preventiva contro una società ingiusta e caratterizzata dall’ignoranza, contro chi voleva soffocare dalle origini il nuovo culto, che assume e riassume, perfeziona in via definitiva il messaggio monoteistico ereditato dalle religioni del Libro (ebraismo e cristianesimo).

Il Corano, redatto per iscritto solo dopo la morte del Profeta, è concepito da Maometto come un Nuovissimo Testamento, rivelato “in lingua araba chiara”, per l’umanità dei tempi ultimi, con il ruolo di protezione anche delle Scritture anteriori, continuazione, conferma e garanzia di quei messaggi (v. Sura 5, La mensa, v.48). Il Corano è come una pietra di paragone e un sano criterio di autenticità nel giudicare le rivelazioni precedenti. Solo che gli Ebrei e poi i Cristiani “ hanno alterato la corretta Parola e hanno dimenticato parte di quello che era stato loro ricordato “ (5, 13), in termini di aspetti legali o di principio. Onde l’accusa di empi, miscredenti, di vestire di falsità la verità. Così si spiega la relativa tolleranza verso queste comunità religiose (ahl al kitāb)(le genti del Libro), compresi i sabei e i seguaci dello zoroastrismo, previo il pagamento di una tassa speciale e l’adeguamento all’ordine politico islamico, salvo il governarsi all’interno secondo le proprie istituzioni.

In base alla protezione della dhimma le comunità della gente del Libro sotto governo islamico possono quindi continuare a professare la propria fede, dacché la nuova rivelazione, sintesi ultima delle precedenti, non pretende di abolirle tutte. Le parti del Libro sono manifestazioni storiche di una sola Parola, l’eterna e immutabile iscritta su una tavola celeste e non soggetta alla variabilità della contingenza (essa si riveste però nel corso del tempo di diverse forme terrene). Ogni messaggio si riferisce a un preciso periodo, a una situazione geografica, alla lingua e al temperamento di un determinato popolo. Se tutti i profeti godono di pari dignità, c’è però una distinzione gerarchica tra gli inviati divini, tra chi è latore di un messaggio di portata più o meno circoscritta (nabī) e chi è portatore di una nuova religione o di significativi adattamenti (rasūl). Nel secondo caso la rivelazione sfocia in un nuovo libro (kitāb) e in una modifica parziale o totale della legge religiosa (sharīʿa). Non è accettabile comunque che venga messa in discussione la dottrina del Dio unico, essenziale e primordiale per tutti i profeti, a sconfessione quindi del trinitarismo cristiano ad es. Alla luce di questo criterio gli atteggiamenti integristici del Califfato autoproclamatosi come vindice del musulmanesimo autentico nell’ambito siriaco-irakeno (con diramazioni multiple) sono un chiaro tradimento del verbo maomettano.

Sconcertante altresì e di vecchia data la tendenza tipica dell’islamismo (ma non solo) alla frammentazione in numerose correnti, spesso, se non sempre, in acceso conflitto tra loro come nella storia passata e attuale tra i sunniti, seguaci della sunnāh, la tradizione e sciiti (della shī’a, partito di Alì), depositari di un sapere esoterico, che privilegia la figura dell’imām.

La sura 49 (Le stanze interne) reca al versetto 9: “Se due fazioni di credenti combattono tra loro, mettete pace tra loro; ma se una ha commesso eccessi contro l’altra, combattete quella che ha commesso tali eccessi, finché tornerà all’ubbidienza all’ordine di Dio”.

Di particolare significato per quanto concerne la Jihād sono le sure 2 (La vacca), 8 (il bottino), 9 (Il pentimento) e 22 (il pellegrinaggio). La 2, che è la più lunga (le sure sono trasmesse secondo l’ordine di lunghezza), risale al primo periodo medinese, subito dopo l’Egira (622 d.C.) ed è stata definita da Maometto il culmine del Corano. I versetti 190-194 costituiscono la prima rivelazione, che autorizza i musulmani, fino ad allora tenuti a una condotta pacifica, all’uso delle armi. Vi si vietano gli eccessi, cioè le azioni esageratamente e inutilmente violente, quali l’uccisione di donne, bambini, anziani, monaci e in generale di tutti coloro che non partecipano all’azione bellica e le distruzioni materiali. I vv. 216-218 prescrivono che il combattere per la fede è un obbligo per ciascun musulmano (peraltro per i giuristi in termini di obblighi di sufficienza, quelli che devono essere assolti dalla comunità nel suo complesso).

La sura 8, rivelata in successione cronologica dopo la 2, riguarda gli insegnamenti che i credenti devono trarre dalla battaglia di Badr (624 d. C. ); sottolinea che la vittoria è sempre dovuta al sostegno divino, codifica le condizioni per la conquista e spartizione del bottino, con rilievo per il diritto dei poveri, afferma che la jihād non mira a soddisfare la sete di guadagno, bensì solo all’affermazione della fede. V. 17: “Non siete stati voi a ucciderli, a ucciderli è stato Dio”. V.39: “Combatteteli, finché non ci sarà più discordia e il culto sia interamente reso saldo e invocate molto Dio, affinché abbiate successo”. Il v. 46 ingiunge ai credenti di far tacere i disaccordi interni.

La sura 9 è l’ultima rivelata ed è l’unica che non inizia con la formula: Nel nome diDio,il Clemente, il Compassionevole. Contiene un appello a condurre la jihād contro i politeisti, in particolare quelli che hanno violato gli accordi stretti con Maometto e si riferisce alla campagna di Tabūk (630 d.C.), che ebbe per obiettivo la neutralizzazione delle tribù del Nord. V.13: “E come potreste evitare il combattimento con gente che ha violato i propri giuramenti, che ha tentato di scacciare l’inviato e vi ha attaccato per prima?”. V. 29: “Combatterete quelli che non credono in Dio e nell’ultimo giorno e non dichiarano illecito quello che Dio e il suo inviato hanno dichiarato illecito e quelli della gente del libro, che non professano la religione della verità.

La sura 22, considerata meccana dalla tradizione, riprende la predicazione maomettana contro i politeisti, ridotti sulla difensiva dopo la sconfitta subita nella battaglia del Fossato (626-627 d.C.). VV.39-40: è dato permesso a quelli che combattono, perché sono oppressi ingiustamente e a quelli che sono stati ingiustamente scacciati dalle loro case solo per avere detto: Il Nostro Signore è Dio. Se Dio non avesse respinto alcuni uomini per mezzo di altri, i monasteri e le sinagoghe, gli oratori e le moschee dove il nome di Dio è spesso ricordato sarebbero distrutti.

In origine gli Ebrei formavano per Maometto un solo popolo con i credenti, la direzione della preghiera nella moschea era orientata verso Gerusalemme, egli coglieva coma una specie di identità tra le due fedi. Poi l’accusa loro rivolta (ad essi cui fu affidata una parte del libro) di avere alterato le Scritture con omissioni e falsificazioni, la considerazione di Abramo come non ebreo, quanto piuttosto un hanif dedito interamente a Dio, costruttore della Kaʿba a Mecca, la nazionalizzazione dell’Islam, la repressione antiebraica (tribù dei Banu Nadir) dopo la sconfitta di Uhud, il massacro degli Ebrei Kurayza, alleati dei Coreisciti, dopo la vittoria del Fossato, infine la cancellazione presso la Kaʻba delle figure rappresentanti le immagini dei Patriarchi dell’Antico Testamento, risparmiando però quelle della Vergine Maria e di Gesù.

Quale soluzione può allora adottare il mondo occidentale nel suo complesso contro il Califfato terroristico dell’ISIS? Non può pretendere di delegare sempre ad altri il compito di sacrificarsi sul piano della pura violenza, salvaguardando egoisticamente il proprio interesse, nazione per nazione,Stato per Stato. La guerra poi, intesa come unico strumento di risoluzione dei problemi, non genera che guerra, all’infinito. Un mondo diviso contro un mondo parimenti diviso. A distanza non può vincere che un’alleanza coi regimi moderati, un ricorso costante alla mediazione, al dialogo, testimoniando la nostra adesione ai principi d’uguaglianza, fraternità,libertà con l’esempio concreto, quotidiano, con la solidarietà generosa verso una marea di profughi indotti soltanto alla disperazione per l’abbandono. Civiltà contro l’inciviltà dell’orrore, della furia omicida. Nella fedeltà ai tanti principi comuni anche alla civiltà islamica.

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