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Cultura

PARMENIDE O L’ESSERE

LIVIO GHIRINGHELLI - 13/11/2015

Parmenide nell’affresco di Raffaello “La scuola di Atene”

Parmenide nell’affresco di Raffaello “La scuola di Atene”

Tra i maggiori esponenti del pensiero aurorale dei Greci spicca il nome di un filosofo eleate, Parmenide, vissuto tra il sesto e il quinto secolo a.C., allievo di Senofone di Colofone, ma, a differenza di questi, teologo, essenzialmente ontologo. La sua vicenda si inserisce nel contesto di quei filosofi e intellettuali, che lasciarono la costa ionica per sfuggire ai regimi tirannici di quella zona, alle invasioni dei Medi e alla minaccia incombente dell’invasione persiana, ma Parmenide nasce a Elea (Velia, nell’entroterra del Cilento, provincia di Salerno), colonia dei Focesi (centro vicino all’attuale Smirne).

Il pensiero di Parmenide si concentra sull’essere, la sola cosa che può esistere ed essere pensata in una coincidenza delle due dimensioni. Egli è il primo creatore di una teoria deduttiva dalla validità logica perfetta, ma più che architettare un sistema di pensiero è l’inventore di un metodo, per stabilire linee di ricerca, non teoremi. Non si insegnano contenuti, ma si additano vie. Per Parmenide l’essere è, il non essere non è; l’essere è qualcosa di assolutamente presente, privo di temporalità, non spaziale, in quanto manca d’ogni molteplicità o mutamenti, incorruttibile, non creato e ingenerato, pur se intelligibile, immobile e indivisibile.

Si passa dalla speculazione della scuola ionica, intesa alla comprensione del mondo fisico, dall’indagine sulla natura dell’universo, insieme di cose percepibili dai sensi, a una forma di conoscenza della realtà che risulti infallibile, necessaria, indubitabile e universalmente valida, che riguardi qualcosa che contenga già in sé il proprio predicato. “Una sola via resta al discorso, che l’essere è”. Di Parmenide resta per frammenti (circa 150 versi) solo il poema Sulla natura, scritto in maniera ermetica, in stile aulico e oracolare, in esametri, il metro della poesia epica.

Integrale è la conservazione del Prologo; segue quasi tutto della prima parte, ben poco invece della seconda (nella tradizione è stata ingigantita la parte ontologica a danno di quella fisica). Nel proemio mitologico la divina insegnante garantisce autorevolmente a Parmenide, che dell’essere si può parlare secondo verità, cui tiene dietro la persuasione, mentre non si può conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo, quand’anche si comprendesse. La sorte ha vincolato la realtà a essere un intero immutabile. Nella realtà c’è solo il presente, intemporale. L’essere è immaginato come una sfera, la figura geometrica più omogenea, senza distinzioni interne, senza inizio e senza fine e comunque finita (nesso profondo nel pensiero greco fra definitezza e perfezione).

 L’interiore unità e pienezza esclude la diversità e quindi l’esistenza di realtà individuali. Quinto segno infine la cessazione del pensiero discorsivo. Ma gli uomini, riconoscendo due principi, la luce (l’etereo fuoco) e l’oscurità (la notte), li considerarono contraddittori, anziché solamente opposti, mentre li accomuna il principio dell’essere.

La prima via del metodo e dei principi astratti e universali è il modello di riferimento, ma questo va applicato ai fenomeni del mondo. Così la Dea, signora delle mescolanze, va riempiendo tutto di luce e di notte, così come l’essere riempie ogni cosa. “Tutto è pieno ugualmente di luce e di notte oscura, uguali ambedue, perché con nessuna delle due c’è il nulla”. Si scopre così progressivamente un’organizzazione dell’universo. Si tratta di un pluralismo, o meglio di un dualismo, da considerare come un modo dell’essere nel senso pieno.

L’essere si rivela nell’astrofisica di Parmenide (terza via, oltre quelle della verità e dell’errore, affidata alle opinioni degli uomini, nelle quali non c’è una vera certezza) come uno straordinario collante e un elemento di stabilità.

Si scopre la verità sul mondo, che è coerente e realistica. Nella costituzione biologica dell’uomo ecco Eros introdurre l’equilibrio che è frutto dell’universale mescolanza. Nessuna frattura fra anima e corpo, ma Parmenide nega altresì le differenze costituzionali e funzionali. Dalla fase assiomatica dell’ontologia (principi della razionalità) si trascorre a quella di natura. Si istituisce una sorta di fisica teoretica. La physis, visibile agli occhi in tutte le stagioni, di inverno è visibile soltanto all’intelletto (le cose, che pur sono assenti, alla mente sono saldamente presenti). L’inverno è la stagione dei filosofi.

Figlio di Pireto d’Elea, probabilmente di ceppo aristocratico (Diogene Laerzio lo dice di un’illustre casata e assai ricco) Parmenide si occupò di politica, diede notevoli contributi alla legislazione della città. Plutarco nel Contro Colote asserisce che “agli inizi i magistrati facevano giurare ogni anno i cittadini di restare fedeli alle leggi di Parmenide”. La struttura rigidamente monistica del suo pensiero lo suggerirebbe in sintonia con un regime monarchico e illiberale, senza grandi aperture sociali, assolutista. Ma c’è chi pensa, in forza di quanto suggerito dalla terza via, a una società pluralista con una accentuata prevalenza della legge.

Fra gli allievi più devoti della sua scuola Zenone (pensare il divenire conduce a contraddizioni insanabili – vale per esempio l’assurdo del piè veloce Achille, che non raggiunge mai una tartaruga che lo precede di pochi centimetri) e Melisso di Samo, che però ammetteva l’infinità dell’essere. Si aggiunga Empedocle che, filosofo della natura pluralistica, circoscrive alla sfera dei principi l’ontologia: le sue quattro radici (fuoco, acqua, aria-etere, terra), che impediscono che alcuna cosa perisca o si distrugga del tutto, salvano i fenomeni: si tratta di un tipo di divenire, in cui il mutare delle cose non è più un passaggio dall’essere al nulla, ma un comporsi e scomporsi di cose che sono.

Con Platone l’essere di Parmenide finisce nel mondo delle idee, ma anche il non essere esiste, conoscibile e ben riconoscibile come diverso. Al principio di non contraddizione si contrappone una specie di principio di individuazione. Per Aristotele l’essere e l’uno sono un tratto comune a tutti gli enti e di tutte le idee; gli enti rappresentano gradi diversi di una stessa realtà, non livelli digradanti verso il non essere, realtà tra loro qualitativamente differenti.

L’opera di Parmenide è risultata di continua attualità, suscitando domande incessanti. Heidegger tenne a Friburgo un corso universitario nel semestre invernale dell’anno 1942-1943 rappresentandola come fondamento della civiltà occidentale. Per Heidegger l’essere è ciò che si manifesta nel disvelamento, nessuno degli enti, né il Super-ente che è il Dio della tradizione occidentale. Emanuele Severino in “Ritornare a Parmenide” (1964) vede in Parmenide la chiave essenziale per comprendere gran parte del dibattito moderno sulla radici culturali dell’Occidente, sul nichilismo e sulla tecnica.

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