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Diario

STORIA DI GIUSEPPE

CLAUDIO PASQUALI - 28/01/2012

Giuseppe è un mio caro e bravo paziente da diciannove anni. Appena in pensione, era ingegnere in una società di autostrade, ha venduto l’appartamento a Milano e ha comprato una casa a Cerro con un giardinetto che si diletta a coltivare con raccolti di ottime verdure. Fa parte ormai di quel flusso migratorio continuo di “giovani pensionati” di cui Laveno è meta privilegiata per la bella spiaggia di Cerro e il porto nella sua panoramica insenatura.

Quando mi venne a trovare la prima volta, mi fece un’ottima impressione, nel vederlo così in buona salute, e diabetico da tanti anni. Capii che era una persona retta con un’anima trasparente e bella e aveva un volto luminoso. Giuseppe sarà beato senz’altro perché ha consolato e consola gli afflitti, come me, invitandomi spesso a cena, sottraendomi alla solitudine inevitabile con cui sto imparando a convivere. Ho avuto modo così di constatare direttamente che le cene di sua moglie, Maria Grazia – un nome più bello per Giuseppe non poteva esserci – sono perfette, cioè equilibrate e varie per il marito che è diabetico ma anche per chi non lo è. Maria Grazia non usa diete particolari, ma ormai sa quello che può mangiare e quanto può mangiare suo marito e lo tiene in riga con ottimi piatti sempre molto saporiti.

Ma Giuseppe sarà beato anche per il suo diabete insulino-dipendente, per le cinque glicemie al giorno che effettua da quarant’anni e naturalmente per la dieta della moglie. Credo che per affrontare questi sacrifici per tanti anni, ogni giorno, occorra amare la propria malattia con cui convivere se possibile felicemente, e soprattutto che la ami anche la moglie, come nel suo caso esemplare. Amando la propria malattia diventa tutto più facile, la si cura più facilmente e diventa meno aggressiva, non bisogna viverla come un castigo o un limite con insofferenza e paura, ma come qualcosa che libera energie altrimenti inespresse nel profondo del cuore e della mente. È difficile lo so, perché bisogna provare per parlare. Ma questa è una provocazione che opero spesso con alcuni pazienti e vedo ottimi risultati.

Giuseppe ora è molto popolare tra i miei pazienti diabetici – circa centocinquanta – perché lo nomino spesso soprattutto come esempio, naturalmente con il suo consenso, a giovani pazienti ancora scioccati dall’avere appreso di essere diabetici insulino dipendenti: Giuseppe è diabetico insulino-dipendente da quarant’anni circa e gode di ottima salute e non ha nessuna delle temibili complicanze del diabete sulla retina, sui nervi periferici e sulle arterie periferiche degli arti inferiori, oltre che sul rene. Il motivo, semplicissimo: controllo glicemico costante con cui mantiene un profilo glicemico perfetto a rischio di frequenti ipoglicemie, merito della moglie, che da circa quarant’anni veglia su di lui tutte le notti e tutti i giorni per sentire e vedere se va in ipoglicemia o no. Inoltre come dicevo prima è una specialista – senza saperlo, credo per istinto – dietologa, diabetologa, oltre che ottima cuoca. Potere dell’amore e delle nuove insuline. Credo però più al potere dell’amore e della cucina equilibrata di Maria Grazia. Ha capito di che cosa aveva bisogno il marito più che noi medici. E se Giuseppe non può mangiare i dolci che vuole può gustare ottimi primi e secondi, sempre diversi, pietanze che anche una persona sana non si sogna neanche di poter gustare.

In questa circostanza il matrimonio si è rivelato fonte di salute reciproca. In realtà non abbiamo ancora compreso che il matrimonio è un Sacramento che se si contrae una volta sola è perché dura tutta la vita ed è accompagnato da una “grazia di stato” particolare nell’assistere reciprocamente gli sposi nelle difficoltà della salute, del lavoro, dei figli, e della vecchiaia. Inoltre posso dire che il matrimonio è anche grande consolazione per chi dei due rimane ancora in terra allorché un coniuge è stato chiamato prima in Cielo. Nel senso che il coniuge in Cielo prepara la strada al Paradiso per chi rimane, ed è un motivo stupendo. Credo proprio che Giuseppe senza Maria Grazia non ci sarebbe più, o avrebbe avuto senz’altro delle complicanze. Così è arrivato a settant’anni e ne dimostra cinquanta. Grazie alla moglie, anch’io non ho da tribolare a compensare il suo diabete e a curare complicanze che non ci sono. Ormai siamo diventati amici e la loro amicizia mi è di grande conforto. Posso così testimoniare che il diabete non gli ha reso la vita difficile come molti pensano. Anzi nel suo caso gli ha reso la vita protetta dall’amore della moglie e dall’amicizia del suo medico.

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