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Cultura

A PROPOSITO DI PACIFICAZIONE

FELICE MAGNANI - 20/11/2015

OLYMPUS DIGITAL CAMERAL’Innominato è il grido di un autore che sa leggere e collocare la voce dell’animo umano. Un dialogo forte e sicuro quello di Alessandro Manzoni, che induce a una profonda riflessione. Un sussulto capace di convertire e riannodare, riconsegnando alla coscienza il suo spirito indagatore, un richiamo alla chiesa ad essere quello per cui è, vangelo della remissione e della pacificazione.

È in questa visione aperta e misericordiosa della vita e del mondo che si apre il cristianesimo manzoniano, luogo di visitazione dell’animo umano e delle sue ricchezze, dove resta sempre una speranza aperta a chiunque la voglia abbracciare, anche quando la vita diventa un’irreparabile prigione. Federico è chiesa della carità e della comprensione, luogo d’ introspezione e rigenerazione, dove l’umiltà esce vittoriosa dalle sfide, lasciando nel cuore del lettore una tenera voglia di certezza. È voce di umiltà e di consapevolezza umana. È così che conquista il male, è così che annienta le resistenze dell’ Innominato, catturato dalla forza di un amore misericordioso che travolge il materialismo per abbracciare la purezza del sentimento.

È in queste pagine di grandissimo spessore che Manzoni rivela la forza di una condizione umana che lascia il lettore con la voglia di alzare gli occhi verso il cielo alla ricerca di quelle verità che spesso la vita cancella, lasciando l’uomo prigioniero della sua inquietudine, nella sua incapacità di darsi una ragione della vita e dei suoi misteri. L’Innominato è il male che si converte, è la ragione che prende il sopravvento sospinta dal respiro leggero della fede, un respiro che la spoglia e la rigenera per rilanciarla nel cuore della gente che crede, che vive sospesa tra le fatiche materiali e la leggerezza di una vita che scivola tra i misteri dell’universo.

Un personaggio ambiguo e umano, che travolge e viene travolto, che si arrende al richiamo della divinità e che ne viene assorbito, come se a nulla valesse quell’arroganza che l’aveva reso intoccabile. In lui convivono le bassezze e le miserie della vita umana, in lui si annidano e prendono forma, lasciando gli esseri nel terrore e nella paura. In lui si accende la parte infernale del male, quella che non risparmia nessuno, che irride ogni forma di umanità, che si arroga il diritto di un potere assoluto.

Ma in lui, alla fine, si realizzano anche gl’ideali più alti della vita cristiana. Manzoni costruisce il simbolo di una devianza apparentemente senza ritorno, come se volesse dimostrare che il male esiste e che nella sua veste diabolica può compiere qualsiasi atto, anche il più scellerato, ma convince il lettore che per quanto malvagio e assurdo sia ha il suo limite e può crollare lasciando il posto al bene, a quella coscienza delle cose pure che procede con l’umanità, nell’educazione che abbiamo ricevuto.

È un dialogo serrato, denso e intenso, semplice nella sua umana accezione, ma forte e complesso nella sua virile espressione. Dalla vicenda ne esce vincente un Dio che non abbandona mai nessuno, che è sempre presente anche lì dove non penseresti di trovarlo mai. Lo senti vicino anche se non credi, capisci che la vita non finisce lì, tra le inquietudini di umani travolti dalle iniquità e dalle miserie, ti rendi perfettamente conto che non basta brandire il potere o cogliere di sorpresa le creature per decretare una vittoria, perché la vittoria vera è quella di una coscienza che si riconosce e che dichiara inequivocabilmente la propria sconfitta.

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