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Stili di Vita

NEL MONDO MA DAVANTI A DIO

VALERIO CRUGNOLA - 11/12/2015

Il monumento a Bonhoeffer a Breslavia

Il monumento a Bonhoeffer a Breslavia

Non so quanto sia lecito, per un laico, varcare la soglia delle forme in cui i cristiani vivono la loro fede. Non ho diritto a intromettermi, nemmeno in punta di piedi. Non desidero assumere la parte di quello che dice ai cristiani come dovrebbero vivere da cristiani. Desidero invece esercitare un «diritto di ingerenza» presso quei non credenti che ancora alimentano e tramandano una rappresentazione semplicistica del cristianesimo contemporaneo. Le parole di Bonhoeffer possono interrogarli tanto quanto hanno interrogato me molti anni fa.

La riflessione teologica di Bonhoeffer si incentra sulla «questione di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo». «È passato il tempo della religione in generale. Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non-religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono essere più religiosi». Si è cristiani oggi se si riconosce l’adultità del mondo. L’avvento dello stato di maggiorità nel quale Kant vedeva l’essenza dell’illuminismo si è effettivamente compiuto. Il mondo adulto si fonda sull’autosufficienza della mondanità come valore in sé, etsi Deus non daretur, come se Dio non si desse.

 Storicamente, due sono stati i motori del mondo adulto. Il primo ha avuto origine nel medioevo, nella lotta tra papato e impero, è passato attraverso la Riforma e si è concluso con la diffusione di istituzioni statali a carattere aconfessionale. Il secondo ha avuto origini con l’umanesimo, si è potenziato con la rivoluzione scientifica e l’illuminismo e ha dispiegato la sua potenza con l’individualismo moderno.

Ambedue le autonomie del mondo hanno un valore positivo per il cristianesimo. La prima ha liberato i credenti dal clericalismo. La seconda li ha sgravati dalla riduzione del cristianesimo a devozionalità esteriore e a precettistica morale; e, soprattutto, li ha emancipati dalla convinzione di essere titolari di uno status privilegiato: quello di detentori monopolistici di una verità compatta e totale, di legittimi rappresentanti istituzionali di Dio nella sfera terrena e di custodi di una moralità esclusiva e indiscutibile.

La filosofia, la scienza, la tecnica, le arti, i princìpi e gli strumenti che guidano l’esistenza e che danno risposta al problema della sofferenza e al pensiero della morte – in una parola «il grosso della vita» – si appoggiano ormai su salde risposte razionali, empiriche, immanenti, costruttive e capaci di suscitare speranze specifiche. La condizione dell’uomo adulto non è manchevole, non è votata all’irrazionale, al nulla, al male e alla disperazione a causa del suo prescindere da Dio. Il mondo e il pensiero possono procedere senza Dio fin tanto che Dio non è più necessario. Dove Dio non è necessario è un Dio inutile; e un Dio inutile è un Dio muto, estraneo, astratto, remoto.

 Anche l’immagine di Dio ha tratto vantaggio dall’autonomia del mondo. «Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole essere colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte». «È semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione» alle domande dell’uomo. Dio non è più un «tappabuchi» utile a coprire dei vuoti: conoscitivi, morali o esistenziali che siano. Non è più potere e onnipotenza. Non è più il deus ex machina che offre soluzioni fittizie a problemi insolubili. Non è più la risposta per antonomasia, onnicomprensiva e autosufficiente. Non è più il punto d’appoggio di credenze dogmatiche e rassicuranti. Non è un rinforzo contro la debolezza, i limiti e i fallimenti umani.

L’apologetica tradizionale a supporto del cristianesimo religioso è inservibile. Essa – scrive Gallas nell’introduzione a Resistenza e resa – «sfrutta i momenti di debolezza dell’uomo e facendo leva sui lati meno nobili della sua esistenza, viola non solo l’intimità dell’uomo, ma anche l’intimità tra uomo e Dio; si intromette cioè con un’idea di Dio forgiata in conformità a desideri umani nel rapporto che Dio intrattiene con l’uomo secondo l’unico criterio della fedeltà alle sue promesse». La fede che la religione alimenta si fonda sul credere in se stessi. Dio è oltre la religione, è altro da un fenomeno umano, ossia storico.

Bonhoeffer respinge la categoria sociologica di secolarizzazione, che relegherebbe il cristianesimo al ruolo di testimone del passato senza più possibilità di presa nel mondo. La contrapposizione tra cristianesimo e piena modernità non ha senso, proprio come non ne aveva la compenetrazione tra cristianesimo e premodernità. Anche l’idea di Bultmann di poter restituire al cristianesimo la sua forza mediante la demitizzazione lo lascia perplesso. Secolarizzazione e demitizzazione sono semmai le condizioni di possibilità per l’affermarsi di un cristianesimo non religioso nella mondanità propria del moderno. «Che cosa significa una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non religioso?». «È al centro della nostra vita che Dio è aldilà. La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio».

 «Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo – “etsi deus non daretur”. E appunto questo riconosciamo – davanti a Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Così il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di fare fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15, 34)! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti a Dio e con Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce. Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così ci sta al fianco e ci aiuta.

 È assolutamente evidente, in Mt 8, 17, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza. Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. La descritta evoluzione verso la maggiore età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apre lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza».

È questo il Dio che può parlare ai non credenti, perché essi sono liberi dall’immagine consolatoria e consolante del deus ex machina, perché ignorano il Dio tappabuchi, e – stando nel mondo a pieno titolo – ne conoscono da dentro e da vicino la sofferenza e dunque oppongono al male, nel resistergli, ogni loro forza.

È su questo Dio, sulla dimensione escatologica che si schiude nel divaricarsi di religione e fede che i cristiani sono chiamati a interrogarsi in una delle ore più tragiche della storia umana. Proprio nella dimensione della mondanità, dalla quale la religione è stata espulsa, la fede ritrova il suo vigore. «Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo».

L’interpretazione non religiosa della Bibbia svela il senso della passione di Cristo nella sua scelta della sofferenza e dell’impotenza per consentire all’uomo di manifestare la propria potenza e libertà. L’assenza di Dio spinge i cristiani a partecipare al destino di Cristo nella storia, attuando la redenzione dell’uomo nella sua piena liberazione. Nel Getsemani Cristo chiese ai discepoli: «Non potete vegliare con me un’ora?». All’uomo è chiesto di stare vicino a Dio nel momento della tribolazione, del dolore e dell’angoscia. Se vi è conforto, è solo in quella condivisione.

Terza puntata. Le precedenti sono state pubblicate il 20.11.15 e il 4.12.15

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