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Il Viaggio

UNO SPECCHIO CADUTO DAL CIELO

GIOIA GENTILE - 11/12/2015

La tomba di Hafez a Shiraz

La tomba di Hafez a Shiraz

Avevo detto: “Non andrò mai in Iran: mi costringerebbero a portare il velo e non rispettano i diritti umani. È una questione di principio, non voglio averci niente a che fare”. Infatti. Complice un numero galeotto de “I meridiani”, interamente dedicato ai più bei siti iraniani, ho deciso di partire prima che qualche delinquente fanatico riesca a distruggere anche quelli.

Ma come raccontarlo? Sono tornata già da alcune settimane e sono ancora qui a chiedermi quale sia la verità di questo Paese splendido e contraddittorio. Arrivo a Tehran nel bel mezzo delle celebrazioni di Ashura, i 40 giorni di lutto per l’uccisione di Hossein (figlio di Ali e nipote di Maometto) e dei suoi seguaci ad opera del califfo Yazid I. Le strade sono invase da stuoli di uomini e donne completamente vestiti di nero e continuamente in movimento. A volte si fermano in un piazzale e si percuotono il capo salmodiando preghiere. Poi si rimettono in cammino, mangiano, bevono e alla fine convergono in una piazza dove viene incendiata una tenda in ricordo di quell’episodio storico. Sono sconcertata, non capisco se mi trovo di fronte ad una manifestazione di fanatismo religioso o in mezzo ad una grande festa.

Il giorno dopo la città ritorna normale, una normale metropoli di 16 milioni di abitanti ma ordinata e pulita. Le donne – la maggior parte – vestono ancora il chador, il lungo mantello nero che lascia scoperto solo il viso, ma parecchie – le più giovani – hanno solo il capo coperto con l’hijab; comunque vanno per strada, sia di giorno che di notte, anche senza la compagnia di un uomo, guidano l’automobile, si avvicinano ai turisti incuriosite e desiderose di parlare una lingua straniera. A Esfahan un gruppo di ragazze si fa fotografare con noi. Ne esce una foto curiosa: i nostri abiti colorati, i loro tutti neri, ma gli stessi sorrisi.

Credevo di trovare qui persone cupe e chiuse e invece incontro solo serenità e voglia di vivere. La stessa serenità che si respira nell’immensa piazza ariosa di Esfahan, dove i getti d’acqua della grande fontana, il bazar, l’antico palazzo e le moschee creano un’atmosfera da mille e una notte – e in questo caso non è un luogo comune. Tuttavia non si può non pensare che in altre piazze, forse simili a questa, alcune persone, anche di recente, sono state impiccate, e i corpi lasciati esposti per giorni.

Altre domande sorgono a Shiraz, la città di Hafez, uno dei più famosi poeti persiani, vissuto nel XIV secolo. Qui sorge la sua tomba, al centro di un’edicola circondata da un bel giardino. Ma non è l’architettura a stupirci, bensì il fatto che il luogo sia meta di un continuo pellegrinaggio non solo da parte di persone colte. Pare che tutti, anche i più umili e i meno istruiti, possiedano una copia dell’opera di Hafez (come se ogni Italiano tenesse sul comodino la Divina Commedia), un poeta che canta il vino, le gioie e le pene d’amore, e un misterioso “amico” sulla cui natura – reale o metaforica – ancora si discute. Dunque l’Islam antico non vietava questi aspetti della vita! Perpetuare il ricordo di chi li celebrava significa, per la popolazione iraniana, manifestare una volontà di resistenza e di riscatto, contro cui la censura di regime nulla ha potuto.

E poi c’è Persepoli, che era lo scopo principale del mio viaggio e che non mi delude, nonostante mi accolga in una giornata grigia e ventosa. Anche in queste pietre si vede come l’amore degli Iraniani per il loro passato e per la bellezza sia un modo per affermare il desiderio di libertà. Nessuno ha distrutto a martellate i volti dei personaggi antichi, che ancora si stagliano imperturbabili sulle scalinate dei palazzi, portando doni a Dario in un’eterna festa di primavera. Le opere dell’arte pre-islamica sono tutelate e custodite come quelle dell’arte islamica. E sono tutte così emozionanti che non ha senso descriverle a parole.

Allora mi si ripresenta la solita domanda: qual è la verità di questo Paese? Sono le folle urlanti che vediamo nei telegiornali, le manifestazioni di fanatismo religioso, o l’amore per la cultura e per la storia? Sono le piazze delle impiccagioni o le piazze luogo di incontro e di bellezza? Credo che la risposta sia nei versi di Rumi, che la nostra guida ci traduce davanti ai mosaici della Moschea di Esfahan: “La verità è uno specchio caduto dalle mani di Dio e andato in frantumi. Ognuno ne raccoglie un frammento e sostiene che lì è racchiusa la verità”

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